Ogni anno la Fondazione Agnelli propone la propria classifica delle scuole italiane. Il sito Eduscopio, fin dai primi di novembre, espone un countdown fino ad arrivare alla data di uscita della classifica. I giornali e i telegiornali si affannano così a dichiarare in modo diretto e spiccio qual è la scuola migliore di una città o di un’altra. Non possono proporre una classifica globale italiana perché il motore di ricerca permette solo di indagare un raggio di alcuni km intorno ad un luogo prescelto.



Così la Fondazione Agnelli finisce sulle prime pagine e ha potuto, negli anni, perfino intervenire sulla scelta delle famiglie italiane favorendo alcuni istituti e sfavorendone altri.

È orientamento? No, ma non importa: una scuola è migliore, l’altra è peggiore. Chi legge non sa perché, ma le classifiche fanno notizia, si leggono volentieri e aprono discussioni. Esattamente come quelle sportive: non si pensa troppo, ma si tifa.



Vorremmo qui provare a leggerci dentro per dare conto di elementi in più. Avvertenza: qualche concetto sarà un po’ articolato.

Perché fa notizia?

La classifica di Eduscopio fa notizia perché colma un vuoto. Non c’è infatti uno strumento ministeriale e ufficiale che valuta l’operato della scuola italiana, men che meno che valuta il lavoro dei docenti, cui forse dovrebbe guardare una valutazione di questo tipo. Il voto dell’esame di maturità non può minimamente ambire a questa funzione. Troppo aleatorio, di oggettivo ha pochissimo e poi valuta lo studente e non la scuola (nonostante faccia ancora “scena” per una scuola avere, che so, tre cento e un cento e lode).



In realtà c’è un istituto che ha questa funzione, si chiama Invalsi e fa un enorme lavoro con indagini basate su prove e analisi statistiche rilevate nel corso degli anni: sottopone gli studenti a test per cinque volte in italiano, matematica e inglese (in seconda e quinta elementare, terza media, seconda e quinta superiore), considera i progressi, rileva il background degli studenti, associa scuole simili per indirizzo o territorio, identifica un fattore scuola e altro ancora, ma… ma non fa una classifica, i suoi dati non possono essere utilizzati se non per uso interno per un miglioramento, e ciò di cui può dare notizia proviene da dati aggregati interessantissimi ma troppo difficili da leggere e poi il risultato è sempre quello: la scuola italiana sempre peggio. Si aggiunga che le prove proposte e obbligatorie per tutti continuano ad essere ostacolate (segnale molto interessante: forse i docenti vi avvertono qualcosa che ha a che fare con una valutazione che toccherebbe anche loro? Magari torneremo a trattarne su queste pagine).

Su che dati è stilata la classifica?

Cosa ha in mano dunque la Fondazione Agnelli se non accede a dati rilevati nelle scuole? Non è infatti un progetto che ha chiesto l’adesione delle scuole, nessuna prova è stata somministrata, nessuna circolare ministeriale ne ha dato notizia ai docenti, nessun dirigente ha mai visto un “ispettore della Fondazione” o uno statistico, nessuna scuola ha dato il nulla osta a partecipare al campionato e ad essere classificata.

I dati sono presi dal percorso post diploma: lavoro e università. Parlando di licei, la classifica si basa su questo: come vanno all’università gli ex alunni delle varie scuole. Viene considerato solo il primo anno (perché, dicono, al secondo anno il “fattore scuola” sparisce) e i dati si riferiscono sempre a 3 anni prima. Anche perché averli disponibili richiede tempo: sono i tre anni della burocrazia italiana. E’ un bel colpo di teatro e serve alla scena. L’indice FGA (Fondazione Giovanni Agnelli) risulta da un mix tra quanti esami ha dato uno studente e quali voti ha preso. Dove? Come? Perché? Qui le domande sarebbero tantissime e varie. Ad esempio la famiglia lo ha aiutato e sostenuto? È pendolare oppure no? Ha trovato compagni di corso con cui studiare? Non si sa e forse non importa saperlo, ma è l’effetto-scuola: così una scuola risulta prima, e l’altra è terza o ultima.

Negli ultimi anni, dopo alcune proteste da parte delle scuole, si è aggiunta a lato una percentuale: “diplomati in regola”. Si tratta cioè di un dato che rileva quanti studenti iscritti al primo anno delle superiori arrivano a superare l’esame di Stato. In breve, per capire: quanti ne boccia la scuola? Si può capire così se c’è o no una selezione di quelli che andranno poi all’università. Questa percentuale tuttavia non incide nella classifica, ma almeno può far capire quanti studenti sono stati eliminati e così, in definitiva, non incidono sul punteggio della scuola. Qui è svelato il paradosso: la scuola avrebbe proprio il compito formativo e il suo successo coinciderebbe con il progresso dello studente. Ma questo non è qualificante, non va classificato, non fa classifica.

Il valore della scuola

Entriamo un po’ di più nel paradosso considerando due aspetti: uno generale e uno particolare.

Il paradosso generale è che la scuola italiana è prevalentemente statale e pubblica e dovrebbe  garantire degli standard di istruzione, assolvendo il sacrosanto diritto costituzionale. Così non è ed Eduscopio, a sua insaputa, lo dice. La scuola italiana è l’enorme macchina dagli ingranaggi labirintici che dovrebbe garantire pari opportunità e possibilità in tutto il territorio nazionale, ma ogni scuola ha il suo brand e lo deve mantenere; si chiama, per carità, autonomia, eppure diventa fama e nome. Così a quel liceo statale del centro ne bocciano uno su due, e a poche vie di distanza, nell’altro liceo statale ne bocciano solo uno su quattro. Stesso datore di lavoro, stesso stipendio, stesse risorse, stesso compito, stessa legge. Non c’è test di ingresso, non c’è selezione all’inizio, tutti possono scegliere liberamente quella scuola, ma in nome del nome di quella scuola, o (diononvoglia) per non avere troppo lavoro da fare con gli studenti più in difficoltà, uno va avanti, l’altro no. Tutto giusto, è vero, perché non tutti possono fare uno scientifico o un classico, eppure cambiando via, cambiando il nome della scuola e non l’indirizzo, ce la fanno.

Ed Eduscopio lo fotografa bene, suo e nostro malgrado.

Il paradosso particolare riguarda invece il modo con cui si rileva il valore di una scuola superiore. Non si tratta di un ente o di un’entità astratta, sono storie particolari di persone che si trovano in un luogo determinato. Guardiamo in modo semplice e diretto: la scuola è il luogo in cui un docente incontra uno studente, una serie di aule dove un adulto offre ad uno un po’ più piccolo di lui la sintesi di tutto il sapere che un Paese ha ritenuto importante per formare un futuro cittadino (come si dice oggi) o un uomo (come si diceva una volta).

Si dovrebbe dunque valutare come avviene questa offerta e come l’altro la coglie. Come lo studente raccoglie la sfida del sapere, cresce, sviluppa conoscenze e competenze utili alla vita e al suo futuro? Quanto incide sulla sua vita, sul recupero e sull’utilizzo delle sue capacità una pagina di letteratura italiana o la storia di una scoperta scientifica? Quanto egli riesce ad uscire dal suo contesto sociale grazie all’accompagnamento di una scuola? Quanto cresce?

Ma questo è inclassificabile.

Però guardate ora vostro figlio e aggiungete voi tutte le domande cui vorreste davvero che una scuola rispondesse. Fatele diventare dei criteri e considerate quindi voi quali di questi sono davvero importanti per fare una vostra classifica (non ve la faremo noi al posto vostro).

Così lasciamo a voi tirare le conclusioni di questo articolo, per non farvi perdere l’occasione di conoscere davvero le scuole del luogo in cui abitate e se sono adeguate alla sfida culturale ed educativa del nostro tempo e di vostro figlio.

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