Non c’è niente di più deleterio nell’educazione di un giovane, ancora più se in tenera età, che evitare di essere chiari. Un no dev’essere un no così come un sì dev’essere un sì, senza le cinquanta e più sfumature di grigio che fanno diventare i no quasi come i sì e viceversa. Il bambino si confonde, non sa da che parte stare e finisce con l’adeguare le regole al proprio tornaconto. Tirate fuori dal cassettone che tenete in soffitta le vostre pagelle delle elementari: Religione ottimo oppure 9, Lettura buono oppure 8, Educazione fisica buono oppure 7, Matematica insufficiente oppure 5 (prendo dalla mia pagella…), Condotta eccellente oppure 10. Più chiaro di così non si poteva: ero scarso coi numeri e i problemi, che mi dessi da fare per rimediare.



A casa c’erano strigliate e qualche castigo e tutto finiva lì, perché non avevano ancora inventato la scuola aperta ai genitori (perché non le banche, le assicurazioni, i medici?), le diagnosi funzionali elargite come caramelle, gli sportelli psicologici e gli altri orpelli socio-medico-burocratici che amareggiano da decenni la vita dei docenti.



Adesso che la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il ddl proposto dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara sulla riforma della condotta e della valutazione alla Primaria, ci attende un “passo indietro” su questi due aspetti della vita scolastica, perché a volte per guardare avanti bisogna, appunto, girarsi indietro: “Lo storico è un profeta che guarda all’indietro”, scrisse il poeta e filosofo Friedrich Schiller.

In concreto, limitandoci ai passaggi-chiave: col 5 in condotta si ripete l’anno alle medie e alle superiori “a fronte di comportamenti che configurino mancanze disciplinari gravi e reiterate, anche con riferimento alle violazioni previste dal regolamento di istituto” (messaggio chiaro ad assemblee non autorizzate e occupazioni) e col 6 ci si deve presentare a settembre con un “elaborato critico in materia di cittadinanza e costituzione” che, se ritenuto insufficiente, fa ripetere la classe. In caso di condanna giudiziaria per un reato commesso contro il personale scolastico, la famiglia dovrà risarcire la scuola versando da 500 euro a 1 milione. Quanto alla scuola primaria, i giudizi sintetici adottati con la ministra Azzolina nel 2021 (governo Conte 2) – un vero capolavoro di incomunicabilità: “in via di prima acquisizione, base, intermedio avanzato” – vengono sostituiti con i più logici e chiari “insufficiente, sufficiente, discreto, buono, ottimo” con buona pace per chi si preoccupa, nella scuola del “buonismo”, della tenuta psicologica dello studente.



“La legge rappresenta un passaggio fondamentale per la costruzione di un sistema scolastico che responsabilizzi i ragazzi e restituisca consapevolezza ai docenti” si legge sul sito del ministero. Fin qui tutto bene: il segnale che viene dallo Stato è chiaro, proprio come dev’essere ogni regola se si spera venga rispettata.

L’esperienza, però, suggerisce cautela. Intanto perché non solo occupazioni e autogestioni non finiranno certo, sobillate dai soliti gruppi e gruppuscoli “antisistema a prescindere”, con prevedibili conseguenze negative nelle scuole e nelle piazze, se non addirittura in parlamento. Ma soprattutto perché ad essere coinvolti in prima persona, se possibile anche più di prima, saranno gli insegnanti.

Lungi da me bollare un’intera categoria di professionisti sottostimati, sottopagati, sotto-tutto: mezzo secolo e più di perdita nel valore sociale a vantaggio di altre categorie di lavoratori non si recuperano dall’oggi al domani con una legge, per quanto apprezzabile. Tuttavia l’esperienza cui si accennava lo dice chiaro e netto: gli insegnanti non vogliono rogne. Né da parte del dirigente, né delle famiglie, né degli stessi studenti. Lo spauracchio del ricorso al Tar è ben presente ogni volta che si riunisce un consiglio di classe o di istituto. Da qui partono i 4 e i 5 che diventano 6, secondo un ribaltamento della realtà che vede i dirigenti nelle vesti di burattinai e i docenti di burattini. All’ingiunzione di cambiare il voto in questa o quella materia “altrimenti la classe 3A abbassa la media delle altre terze, che figura facciamo davanti alle statistiche Invalsi o, peggio, dell’Unione Europea?”, “non vorrete rischiare un’ispezione del ministero”, i più cedono, a volte (diciamolo, finalmente) preoccupati di dover tornare prima dalle vacanze per interrogare a fine agosto i “promossi con debito” (altra invenzione straordinaria partorita da menti cui è impedita la chiarezza).

La magia si compie, le insufficienze diventano sufficienze e il rispetto delle regole va a farsi benedire (non apriamo il discorso sul rispetto delle coscienze, queste sconosciute). Tutti esempi che provengono da oltre trent’anni di vita vissuta, come scrivevano una volta i giornali, per cui la chiosa è dolceamara: per una volta il buon esempio viene da Roma. Tutto sta a vedere – ma qui occorre un miracolo – se sarà fatto proprio in periferia.

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