La recente pubblicazione del volume Nello specchio della scuola (Il Mulino, 2020) unita alla nomina del suo autore, Patrizio Bianchi, a nuovo ministro dell’Istruzione è una ghiotta occasione non solo per conoscere la visione socio-educativa dell’autore, ma anche per passare in rassegna le prospettive politico-scolastiche che presumibilmente saranno alla base della sua azione di governo.



Bianchi è un economista e il focus della sua riflessione è centrato sul rapporto tra istruzione e sviluppo economico con un approccio top-down e cioè dai bisogni del mondo produttivo alla realtà scolastica. La prima parte del saggio è infatti dedicata ad illustrare le profonde trasformazioni in corso nel mondo produttivo. Da qui scaturisce l’esigenza di un nuovo modello formativo in grado di rispondere alle aspettative di un mondo ormai disposto all’intreccio tra globalizzazione del mercato, digitalizzazione avanzata e stili di vita improntati alla connessione totale. La scuola novecentesca è superata, la sua organizzazione è ormai incapace di restare al passo con i tempi, i risultati sono purtroppo assai deludenti: alto numero di alunni dispersi, profondi squilibri tra le varie aree del paese, livelli di apprendimento in italiano e matematica assai scadenti. Dati purtroppo noti e rispetto a cui si attende da tempo una inversione di tendenza.



Bisogna dunque pensare a un’altra scuola, tema al quale l’autore dedica la seconda parte del saggio con la presentazione di alcune linee riformatrici che in parte attenuano l’impressione della subalternità della scuola e della formazione alle leggi del mercato.

Secondo Bianchi occorrerebbe agire su due piani. Il primo è quello di promuovere un nuovo modo di studiare orientato più alla formazione della capacità critica che all’accumulo di nozioni. Di fronte al flusso continuo di informazioni con cui veniamo quotidianamente a contatto occorre aiutare i giovani a gestirle e cioè a saper scegliere, ordinare e fruire ciò che è necessario. Senza ovviamente negare l’importanza dei contenuti, sarebbe tuttavia prioritario fornire l’abitudine al vaglio critico. In questo senso va la proposta di mettere le persone al centro dell’azione scolastica allo scopo di renderle effettivamente autonome.



Un secondo piano di intervento riguarda l’impegno a lavorare soprattutto sull’estensione del principio solidaristico e, in tale prospettiva, potenziare e portare all’effettiva realizzazione il principio dell’autonomia scolastica. Non ci sono solidarietà e lotta alla povertà educativa, scrive Bianchi, se l’acquisizione dei saperi e delle competenze essenziali non è associata alla formazione dei comportamenti necessari per partecipare in modo attivo (il principio della “cittadinanza attiva”) alla vita collettiva nello spirito della Costituzione. E questa aspettativa potrà essere tanto più efficacemente perseguita nella misura in cui “la scuola saprà uscire dalle proprie mura e ‘invadere’ il territorio” e la comunità sociale sarà capace di “presentarsi come educante nel suo insieme”. 

Per restare all’attualità, secondo Bianchi non sarebbe solo la mancanza di connessione alla rete ad aver lasciato a sé stessi una quota non secondaria di studenti durante il blocco delle attività scolastiche, ma “molti ragazzi delle aree marginali e periferiche non sono stati raggiunti perché è mancata una presenza della scuola” nella vita della loro comunità in quanto percepita come poco significativa. E invece l’autonomia delle scuole (resta nel vago se Bianchi includa nel suo discorso anche le scuole paritarie) dovrebbe proprio rinsaldare l’incontro tra scuola e territorio, fare della scuola il centro vitale della vita sociale, costituire il cuore pulsante del modello etico-sociale nel quale far crescere i giovani. In tema di risorgente neostatalismo questa prospettiva è certamente molto interessante.

Il libro di Patrizio Bianchi è di utile lettura per varie ragioni. Ne segnalo due in particolare. L’autore non resta prigioniero del dilemma didattica a distanza sì/no che è un modo riduttivo di guardare al futuro scolastico. Lo sguardo si alza sul destino delle nuove generazioni, sugli squilibri della vita scolastica, sul coinvolgimento delle varie componenti dei territori per ridare centralità alla scuola. Il messaggio è chiaro: non si salva la scuola se non si uniscono le forze, Stato, enti locali, mondo produttivo, docenti, famiglie. La seconda annotazione positiva riguarda la più volte ribadita necessità di uno stretto rapporto tra sviluppo, educazione e democrazia: non ci può essere democrazia reale là dove una quota dei cittadini è povera, ignorante o inconsapevole, ciò che non implica tuttavia scadere nella deriva scolastico-assistenzialista.

Confesso che mi hanno lasciato invece un po’ perplesso due questioni lasciate sullo sfondo della trattazione. La prima è la scarsa rilevanza riservata al nucleo di saperi su cui si fonda il nostro senso di stare insieme. Bene educare gli allievi al senso critico, ma alla scuola credo tocchi anche il compito di trasmettere un pugno di conoscenze-base senza le quali rischiamo di non sapere più chi siamo. Ho trovato, poi, debole l’attenzione riservata agli insegnanti, i silenziosi operai dell’istruzione che ogni giorno sono a contatto con i loro allievi e dai cui comportamenti dipende quello slancio educativo in grado di mobilitare le risorse personali come insegna Plutarco: “La mente non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma piuttosto, come legna, di una scintilla che la accenda e vi infonda l’impulso della ricerca e un amore ardente per la verità”.

Di una sola cosa possiamo infatti essere certi: qualsiasi forma possa assumere l’istruzione del futuro, sarà difficile fare a meno di adulti impegnati ad accompagnare le giovani generazioni nell’esplorare il mondo del sapere e ad acquisire quel survival kit formato da competenze e stabilità emotiva necessario per vivere in società. Gli insegnanti – qualsiasi sia il ruolo e i compiti che dovranno espletare (informativo, culturale, tutoriale, promozionale, ecc.) – costituiscono la prima e irrinunciabile risorsa. Nessun robot potrà mai sostituirli.

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