Alla fine è successo: l’Italia ha raggiunto la media dei Paesi OCSE in PISA Matematica del 2022: 471 Italia, 472 OCSE. Peccato che ciò sia avvenuto a causa di un crollo generale degli altri Paesi occidentali sotto il livello di accettabilità fissata in PISA, che è al 490 (dopo l’abbassamento dal 500 iniziale). Singapore, Macao e Giappone lo superano però abbondantemente.



In effetti il 5 dicembre, alla presentazione dei risultati da parte di Invalsi che, come per tutte le edizioni, ha analizzato in modo competente ed approfondito i dati italiani, si è parlato di resilienza italiana, anche se forse sarebbe meglio parlare di resistenza. Infatti ai -15 punti in matematica si appaiano la sostanziale stabilità dei nostri risultati in scienze ed anche un leggero miglioramento di quelli in lettura. Va ricordato, infatti, che – accanto ad una preponderanza numerica delle prove nella competenza focus di ogni indagine, in questa edizione la matematica – si accompagna la presenza di un numero più limitato di prove delle altre due competenze, necessaria per dare continuità temporale ai dati. Peccato che tale resistenza si sia verificata in Italia non tanto a spese dei livelli bassi o medi quanto dei nostri esigui livelli alti, in particolare a spese delle aree apicali del Nord-Est e dei percorsi scolastici nel passato più performanti nel settore, cioè i licei, Dunque piove sul bagnato.



Quanto alle solite differenziazioni territoriali non c’è problema: il 70% raggiunge il livello base 2 nella media italiana, come risultato dell’80% al Nord e del 60% al Sud e così via andando. L’Italia è fra i Paesi con le maggiori differenze interne: per essere un po’ più scientifici bisognerebbe abbandonare il concetto di media italiana.

Il Sud è il terzo segreto di Fatima che la ricerca italiana non sembra volere affrontare, forse per il timore di venire accusata di razzismo e discriminazione. Sta di fatto che ci sarebbe colà solo l’1% di eccellenti, mentre è sotto gli occhi di tutti che i giovani laureati del Sud stanno dilagando prima nelle università del Nord, poi a livello nazionale ed internazionale a ricoprire ruoli di classe dirigente non solo nei ruoli tradizionali della Pubblica amministrazione. Davvero un mistero.



Non costituisce invece purtroppo un mistero la persistente tendenza delle ragazze italiane ad ottenere risultati peggiori in questo campo rispetto ai maschi – più di quelle di ogni altro Paese – pure in un contesto di buoni risultati scolastici generali. Si tratta però di un vezzo su cui la scuola può influire relativamente, se non cambia l’atteggiamento della società, che peraltro sembra ancora considerare quasi un segno di superiorità intellettuale il disinteresse per saperi considerati freddi e privi di reale profondità intellettuale, a favore delle più domestiche “scienze umane”.

Quanto ai cambiamenti nel tempo, i presentatori hanno sottolineato che i risultati italiani sono riprecipitati al livello di quelli iniziali del 2003-2004 (il primo PISA matematico), mentre dal 2007 in avanti vi era stato un miglioramento, anche se non lineare. I partecipanti alla tavola rotonda seguita alla presentazione dei dati hanno fatto in proposito diverse ipotesi, individuando nella campagna di informazione-formazione realizzata nel 2007-2008 al Sud una possibile spiegazione. Si potrebbe anche ricordare che a suo tempo l’attuale presidente Invalsi Roberto Ricci aveva ipotizzato un effetto benefico della prova standardizzata esterna (anche in matematica) collocata all’interno dell’esame di Stato in terza media, che avrebbe spronato positivamente gli insegnanti di matematica. E successivamente ricollocata al di fuori dell’esame.

Nella ricerca delle ipotesi di tale crollo universale ovviamente in prima linea sta l’effetto-Covid, ma per quanto riguarda il nostro Paese i dati di lettura e scienze non sembrano confermare, per lo meno come ragione esclusiva. Si sono avanzate più ipotesi: l’accentuazione dell’aspetto sempre meno contenutistico e sempre più processuale del Framework matematica PISA, mentre gli insegnanti italiani si sarebbero – seconda ipotesi – dopo l’emergenza Covid precipitati a recuperare gli “argomenti”. Nel quadro per di più – terza ipotesi – di una generale diffusione della fake-cultura veicolata in modo massiccio dai supporti informatici, volta a togliere prestigio e credibilità alle scienze dure, con in capo ovviamente la matematica.

Tutte ipotesi plausibili, ma non bisognerebbe dimenticare che da decenni ormai le ricerche indicano la matematica come il sapere più dipendente dalle prestazioni delle scuole – e bisogna aggiungere, oggi, dalla voglia di studiare degli studenti – e meno dalle condizioni socioeconomiche del contesto (il famoso ESCS, lo status economico sociale). Il quale, mentre determina pesantemente le capacità di comprensione ed espressive attive e passive, è in grado di determinare solo indirettamente ed in parte – attraverso la motivazione eccetera – quelle relative alle capacità logico-astratte. Tanto è vero che già dagli Usa anni 50 i tentativi di innalzare il livello dei contesti deprivati si sono basati sull’investimento su tale disciplina. Donde il fatto che la sospensione o comunque la minore efficacia dell’effetto-scuola possa essere stato determinante in senso negativo anche a livello globale.

Interessante il dato – questo generale – per cui nella percezione degli studenti non è stata tanto e solo la chiusura delle scuole, quanto soprattutto la difficoltà o impossibilità ad accedere alla formazione a distanza messa in atto in sostituzione, a determinare la caduta degli apprendimenti. Il peso determinante della scuola in matematica può anche spiegare il peggioramento dei nostri livelli apicali, per i quali il ruolo specialistico degli insegnanti può essere molto difficilmente sostituito e la concentrazione necessaria per apprendimenti difficili è più faticosa da raggiungere senza una presenza effettiva e motivante.

È da ricordarsi infine che i dati relativi alla matematica sono particolarmente interessanti perché predittivi della predisposizione a seguire percorsi universitari STEM per accedere a professioni STEM. Ed il campo delle competenze scientifico-tecnologiche è oggi più che nel passato cruciale per il livello dello sviluppo economico dei Paesi.

Fin qui le prime osservazioni sui risultati.

Ma questa puntata di PISA può indurre anche ad altre riflessioni più generali. Da ora innanzi PISA sarà quadriennale e non più triennale. Era prevedibile: le graduatorie dei Paesi si ripetono con importanti eccezioni nella parte alta. In Italia c’è ancora chi ripete che la Finlandia è il top, insieme agli altri Paesi nordici; non è più vero da una decina di anni perché è stata sostituita dai Paesi dell’Asia Orientale ed anche alcuni Paesi “emergenti”, fra cui i Paesi arabi, stanno piano piano risalendo. Singapore, Corea e Giappone sono in testa.

Anche le policies utili per determinare buoni risultati sono difficili da individuare, oltre che da attuare, forse per la difficoltà dei politici – lo ha scritto il capo di PISA Andreas Schleicher – a mettere in campo riforme magari non popolari in questi tempi di populismo occidentale e che soprattutto danno i loro eventuali frutti alla distanza. E questo non solo per la cattiva volontà delle scuole, ma perché l’educazione e l’istruzione nelle diversissime società umane sono cosa che cambia nella lunga durata e non è determinabile con un click.

Quello che PISA invece efficacemente registra è il ristagno, ed in questo caso la macroscopica regressione (soprattutto rispetto all’immaginario, come nei casi francese e tedesco) dei Paesi occidentali. Ristagno e (temporanea?) regressione a cui la Francia con tempismo eccezionale cerca di rispondere mettendo in campo provvedimenti peraltro da tempo preannunciati: riconsegna delle decisioni circa le bocciature nelle mani degli insegnanti – oggi le famiglie hanno un forte potere decisionale –, obbligo di esito positivo del brevet (il nostro esame di terza media, realizzato però un anno dopo, alla fine del collège) per l’iscrizione alla secondaria superiore, organizzazione degli insegnamenti di matematica e francese su tre livelli al collège.

E d’altra parte PISA registra anche l’avanzata, non genericamente del Sud del mondo che per lo più sembra ristagnare anch’esso, ma di quelle parti in East-Asia che intendono fare dell’istruzione uno strumento di sviluppo. E pertanto spingono anche con durezze relative ai comportamenti. Sempre Schleicher ha parlato di hard work – duro lavoro – a proposito delle prestazioni di Singapore e dei Paesi emergenti; mentre in Occidente oggi si cerca nella motivazione, nel benessere a scuola, fino all’apprendimento come gioco la soluzione dei problemi. Qualcuno parla anche di eccessi nelle cosiddette “educazioni”, in supplenza di una società e di famiglie latitanti.

L’antitesi in luogo della complementarietà e dell’integrazione fra i due approcci sembra sbagliata e pericolosa. L’impegno, anche faticoso e causa di ansietà non è espungibile dalle azioni umane, ma d’altra parte l’apprendimento incapace di raccordarsi con la realtà e di trarne motivazione è sterile, soprattutto oggi.

Come scrisse Fernanda Pivano in Viaggi ad alta voce (1968-1979): “È sbalorditivo che negli anni di ginnasio, liceo ed università nessuno abbia mai pensato di dirmi che Cartagine si trova a Tunisi e che Utica (vedi Catone l’Uticense, quello del “Cartago delenda est”, nda) si trova a pochi chilometri da Cartagine. Mi sbalordisce sempre questa mancanza di realtà nelle nostre scuole, questo modo di essere avulsi dalla realtà”. Quanto è vero ancora oggi?

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