Da qualche giorno continua la polemica sul revisionismo linguistico che si è abbattuto anche sulla narrativa per ragazzi dello scrittore inglese Roald Dahl, morto nel 1990, autore di libri venduti in tutto il mondo.
La casa editrice inglese, che dal 2021 appartiene alla società statunitense Netflix, in accordo con gli eredi, è intervenuta sul testo di vari romanzi eliminando parole o frasi ritenute offensive o non inclusive rispetto al politicamente corretto oggi dominante. La cosiddetta “cancel culture”, che da anni si è imposta specialmente nei Paesi anglosassoni, può arrivare al boicottaggio culturale di chi si esprime in modo ritenuto non corretto, non conforme.
Il tutto è talmente amplificato dai social media che una frase infelice o semplicemente non allineata può scatenare furiose tempeste di insulti nel web, a cui devono soccombere sia i singoli presi di mira, con licenziamenti o dimissioni, sia le imprese, che preferiscono allinearsi preventivamente per evitare di incappare in qualche disastro sul piano reputazionale e finanziario.
Ma il caso della censura sui romanzi di Dahl, che hanno appassionato milioni di ragazzi, sta avendo reazioni di sdegno pressoché unanimi per le molteplici implicazioni che riguardano tanto la libertà dell’arte e i diritti dell’autore, quanto l’educazione dei nostri bambini e ragazzi.
La casa editrice si giustifica dicendo che le modifiche sono state “piccole e ponderate con attenzione”, eliminando quei riferimenti ritenuti non inclusivi, con l’obiettivo di permettere a qualunque bambino di immedesimarsi nei personaggi.
Qualche esempio. La parola “grasso”, affibbiata a un personaggio, è ritenuta offensiva perché potrebbero risentirsi tutti coloro che hanno il problema di essere grassi e spesso sono presi in giro per questo motivo. Così uno dei bambini protagonisti de La fabbrica del cioccolato, descritto dal suo autore-creatore come “sproporzionatamente grasso” con grossi rotoli di carne flaccida che gli pendevano da ogni parte del corpo (il simbolo della golosità irrefrenabile, tanto che durante la visita alla fabbrica vuole bere da un condotto di cioccolato fuso finendo risucchiato), diventa semplicemente “enorme”.
In altri casi anche l’aggettivo “nano” non va bene. “Padre e madre” diventano “genitori”. “Piccoli uomini” diventano “piccole persone”, un genere neutrale e quindi universale. A finire nel mirino del revisionismo sono soprattutto i passaggi che associano le caratteristiche fisiche a quelle morali (brutto e cattivo).
Non è chiaro se si tratti della nuova frontiera del business, per rilanciare sul piano editoriale delle opere in calo di vendite. Ma, se questa pratica diventa regola, fra qualche anno la narrativa per ragazzi che conosciamo sarà completamente manipolata.
A questo punto, qualche domanda gli intellettuali hanno cominciato a porsela. Vogliamo offrire ai bambini una finta rappresentazione del mondo dove tutto è edulcorato, sfumato, attualizzato secondo la nostra mentalità, o vogliamo farli crescere nella consapevolezza che ci sono anche cose sgradevoli, brutte, riprovevoli, ma reali?
Si può pensare di sconfiggere il bullismo nascondendo all’immaginario infantile l’esistenza del prototipo stesso del bullo arrogante, malvagio e prevaricatore? Oltre tutto il rovescio assurdo di questa medaglia è che fin da piccoli o appena adolescenti, grazie ai mezzi tecnologici forniti dai genitori senza accompagnamento e controllo, i ragazzini accedono a film horror, canzoni che esaltano la violenza, contenuti truci e brutali, quelli sì da censurare finché la loro maturazione non è solida.
L’indignazione suscitata intorno al caso Dahl ha sollevato una domanda fondamentale: a livello pedagogico non sarebbe più opportuno un diverso approccio educativo? Invece che accanirsi a “correggere” racconti e fiabe, non basterebbe accompagnare i bambini in una lettura formativa, insegnando a discernere il bene dal male, a superare le paure, a rispettare il diverso? Vogliamo che crescendo siano in grado di conoscere, capire, interpretare, valutare, o vogliamo appiattire il loro pensiero prima ancora che si formi?
Un altro aspetto da considerare riguarda la libertà dell’espressione artistica, la sua contestualizzazione storica, il diritto dell’autore all’integrità della sua opera e il diritto del lettore ad accedere all’opera originale e integrale.
Tutti aspetti ben sviscerati in un recente articolo pubblicato su Micromega, dal titolo “La censura dei libri di Roald Dahl è un triste inganno verso tutti”. Fra i diritti morali inalienabili che fanno capo all’autore – si scrive nell’intervento – c’è il diritto all’integrità dell’opera e non è possibile alterare un testo fino al punto di dis-integrarlo, e fingere che sia lo stesso testo di prima. La scrittura dei testi reclama la sua verità storica.
L’integrità violata non è solo quella dell’autore, ma anche dei lettori, che leggono un’opera ormai dis-integrata, alterata, privata della sua autenticità. In conclusione, non si può rispettare nessuna diversità, se non si rispetta innanzitutto la persona, l’opera, il pensiero dell’autore.
Il caso Dahl, rimbalzato un po’ su tutti i giornali, ha il merito di avere aperto finalmente un dibattito serio nella vacuità a cui ci siamo assuefatti. Tante domande restano aperte, ma speriamo che producano un ritorno della ragionevolezza e del pensiero critico.
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