Nella scuola italiana si naviga a vista, come Colombo si avventurava nel mare sconosciuto sperando di raggiungere le Indie lungo una rotta ignota: la differenza consiste nel fatto che le rotte solcate da ogni novello ministro al timone della nave del Miur sono ben note, ma quasi sempre portano al naufragio. Se con la “Buona Scuola” si doveva porre rimedio alla “supplentite” con un arruolamento di massa e coatto di docenti, che aspettavano da anni una cattedra (intanto qualcuno faceva un altro lavoro!), le scuole dello Stivale si sono riempite di docenti di materie che neanche si insegnano in quell’indirizzo di scuola. Chi ha buona memoria sa che l’ex ministro dell’Economia Tremonti, per rispondere all’imperioso pareggio di bilancio, tagliò le risorse al settore formazione: tra il 2008 e il 2012, 8 miliardi e 500 milioni di tagli alla scuola (il 10,4% del budget complessivo) e 1,3 miliardi all’università (su un totale di 7,4 miliardi nel 2007, 9,2%), per essere precisi.
Questo è un dato che emerge da una relazione ufficiale della Commissione europea del 2013: “La riduzione del numero degli insegnanti in Italia è una conseguenza e un risultato programmato di una riforma, la legge 133/2008, approvata nell’estate del 2008, prima del consolidarsi della crisi”. Solo che, proprio per evitare una multa che sarebbe stata un salasso per l’erario pubblico da parte dell’Unione Europea per abuso di contratti a tempo determinato su cattedre libere e vacanti, il Governo Renzi fa una assunzione di 100mila docenti e, con un algoritmo misterioso, inizia il più grande esodo di massa dei docenti tra il Nord e il Sud. È un dato cronico: le cattedre sono al Nord, ma il costo della vita è superiore rispetto al Sud e lo stipendio dei docenti italiani, tra i più bassi dell’Europa occidentale, non è sufficiente, senza contare l’allontanamento dalle famiglie di origine e l’abbandono dei propri affetti.
Ai tempi del ministro Bussetti si parlava anche di regionalizzazione del personale docente: le Regioni del Nord avrebbero integrato lo stipendio statale, un po’ come avviene nella Provincia autonoma di Trento, in modo da garantire una certa stabilità alle scuole e un continuo di trasferimento dei docenti arruolati al Nord che chiedono di tornare al loro paese, al Sud.
“Il concorso ordinario – ha affermato recentemente il ministro Fioramonti (M5s) – deve essere la via principe per essere assunti a scuola, regolare, con caratteristiche ben precise. Bisogna però gestire anche il passato: abbiamo 120mila precari, con anni di anzianità che superano i 36 mesi. Alcuni hanno cinque, sei, sette anni di servizio alle spalle, magari non hanno ancora tutte le idoneità o le abilitazioni, però insegnano ai nostri figli”.
“C’è già un decreto legge – ha continuato Fioramonti – che era stato firmato dal precedente ministro che ho trovato sulla mia scrivania. Stiamo lavorando su questo decreto per fare in modo di garantire che chi riuscirà ad entrare tramite un concorso in questo caso straordinario sia in qualche modo selezionato sulla base dei titoli”. Molti precari sono in trepidante attesa, mentre molte scuole faticano ancora a trovare i supplenti per avviare lo svolgimento normale delle lezioni.
Oltre alla perenne commedia del cambiamento della formazione iniziale e del relativo reclutamento del corpo docenti (è quello più vecchio d’Europa!), è stato proposto dal ministro che la mobilità volontaria, che sarebbe finalizzata all’ottimizzazione dei docenti nelle zone del Paese con più disponibilità di cattedre, avvenga mediante l’incentivazione, anche finanziaria, da parte delle Regioni. E l’altro giorno si è aperto uno spiraglio per guardare il futuro con più ottimismo.
È stato infatti firmato il testo del nuovo accordo con i cinque sindacati (Cgil, Cisl, Uil, Snals, Gilda) che comporta un nuovo concorso straordinario per le superiori riservato ai precari che hanno 3 anni di servizio (su 8) nella scuola statale, con esclusione delle paritarie. Il concorso, fissato alla fine dell’autunno, metterà in cattedra entro settembre 2020 almeno 24mila precari e all’abilitazione (la “patente” all’insegnamento) – coloro che risulteranno “idonei”, cioè “patentati” ma non vincitori. La vera novità è che chi vincerà la cattedra, se avrà preso almeno 7/10 alla prova scritta, potrà avere l’abilitazione a giugno 2020, valida per l’ingresso nelle graduatorie che sono dell’anticamera del ruolo, ovvero quelle di seconda fascia.
Altra novità dell’intesa è il tentativo di svuotare i precari bloccati in una graduatoria, soprattutto al Sud, particolarmente nelle discipline umanistiche: adesso avranno la possibilità di cercare volontariamente, nello Stivale, una cattedra stabile. Il “Salvaprecari” bis fornisce, nell’ipotesi di un decreto d’urgenza, la possibilità che i vincitori e gli idonei dei concorsi 2016 e 2018 si spostino, su base volontaria, in un’altra provincia, cioè al Nord. Insomma quello che era successo con la Buona Scuola, ma forse con incentivi.