L’Huffington Post dà notizia di una lettera, indirizzata dal commissario straordinario Figliuolo al ministro della Salute ed a quello dell’Istruzione, con cui si chiede di approntare misure per assicurare che le lezioni del prossimo anno si svolgano finalmente con regolarità, senza i continui stop-and-go degli ultimi due anni. E si chiede inoltre di fornire al commissario elementi di conoscenza per eventuali interventi di sua competenza.



L’iniziativa va salutata con soddisfazione: finora si è sostanzialmente andati avanti alla giornata, aprendo e chiudendo con l’oscillare dei bollettini sanitari, senza una prospettiva di medio periodo, fra continui ripensamenti. Ben venga quindi uno sforzo di anticipazione organizzativa, che tenti di non farsi cogliere ancora una volta impreparati.



Detto questo, le ipotesi avanzate – se pure a titolo appunto ipotetico – hanno poco di confortante, proprio perché ruotano intorno a misure già note e dimostratesi inefficaci: dalla disinfezione delle mani al distanziamento sociale, dalle mascherine ai tamponi e così via.

Una buona parte degli interventi ipotizzati riguardano il ministero della Salute: testing, contact tracing, vaccinazione del personale. Manca ogni riferimento al sistema dei trasporti, ma i destinatari di quel servizio sono altri rispetto ai due ministri destinatari della nota.

In realtà, sappiamo tutti che il contributo che le scuole “in presenza” possono aver dato alla diffusione dei contagi deriva più da quel che ruota loro intorno che da quel che accade al loro interno: dai trasporti appunto agli assembramenti prima dell’ingresso e dopo l’uscita, all’interazione dei giovani studenti con tutto quel che si incontra, virus compresi, andando in giro.



E va fatta una distinzione, anche questa ormai nota, fra scuole del primo e del secondo ciclo. Le prime, di fatto, hanno funzionato in presenza con sostanziale continuità: e non è un caso. I bambini/ragazzi vanno a scuola a piedi o li accompagnano i genitori: non incontrano altri in itinere, sono più controllabili. Inoltre, le scuole del primo ciclo – causa crisi demografica – hanno classi mediamente meno numerose e disponibilità di spazi inutilizzati e recuperabili. Hanno avuto risorse di organico Covid aggiuntivo (diverse decine di migliaia di persone) ed hanno potuto sdoppiare un certo numero di classi.

Queste condizioni non esistono per il secondo ciclo. I ragazzi a volte vanno a scuola col motorino, ma soprattutto con i mezzi; tendono appena possono ad aggregarsi (è tipico della loro età); tendono alla socialità diffusa e spesso in deliberata trasgressione delle norme. Le classi sono numerose, gli spazi appena sufficienti, gli organici risicati.

Se dunque si vuole fare qualcosa per tentare di assicurare una sostanziale continuità di funzionamento a questo segmento di istruzione per il prossimo anno, bisogna agire su più fronti:

– garantire misure di natura sanitaria tempestive e capillari: tamponi frequenti, tracciamento dei contatti, vaccinazione di tutti gli adulti con cui i giovani entrano in contatto quotidiano;

– garantire il controllo del territorio nelle aree circostanti alle scuole per prevenire gli assembramenti e la socializzazione “selvaggia”;

– garantire un rafforzamento consistente dei mezzi di trasporto pubblico. Non è pensabile un ulteriore scaglionamento degli ingressi: già quello attuato quest’anno ha creati notevoli problemi senza sostanziali benefici;

last but not least: se veramente si vuole fare un intervento “pesante”, che dia risultati, occorre immettere risorse consistenti di organico nel secondo ciclo, per alleggerire la densità di alunni per classe. I locali si possono reperire in edifici, anche del primo ciclo, attualmente non utilizzati; preferibilmente per i primi due anni di corso, che meno hanno bisogno in genere di aule speciali e laboratori attrezzati. Oppure – in emergenza – si può pensare al ripristino dei doppi turni, magari alternandoli fra i gruppi di studenti. Solo portando il distanziamento “dentro” le classi e le scuole si può pensare di alleggerire significativamente uno dei principali fattori di rischio.

Certo, non è un intervento facile e non solo per una ragione di costi. Un conto è trovare nuovi docenti per le materie “generali”, che sono quasi tutte quelle del primo ciclo; un altro è trovarli, e di livello accettabile, per l’enorme varietà di quelle del secondo ciclo. Ma nascondersi i termini del problema non è mai stato il modo per trovare le soluzioni che funzionano.

Se si giunge alla conclusione che niente di questo può essere fatto, o che almeno non si può intervenire sulle tre questioni chiave (sanità, trasporti, organici), allora occorre porsi la grande domanda: fino a che punto crediamo veramente che la scuola sia una risorsa strategica per il paese, talmente prioritaria che non può più a lungo essere sacrificata?

Se lo crediamo veramente, la questione diventa analoga a quella delle attività economiche che stanno proprio in questi giorni ottenendo un allentamento delle maglie. Le priorità sono tali perché le altre esigenze possono esservi sacrificate. In altri termini, sarà necessario accettare un certo livello di aumento dei contagi come un prezzo ragionevole da pagare per preservare il funzionamento complessivo del sistema di istruzione.

Se la priorità rimane – come è stato finora – quella di ridurre la diffusione del virus, senza toccare le altre grandi variabili, allora smettiamo di raccontarcela ed accettiamo consapevolmente di sacrificare anche per il prossimo anno una generazione di giovani che ha già pagato un prezzo elevato al pubblico bene. Ci sono già stati in passato tempi drammatici che hanno indotto a pagare prezzi analoghi: l’ultimo, il triennio 1942-45, per la guerra.

Quello che non ci possiamo permettere è la “non scelta”: cioè il voler al tempo stesso affermare la centralità e la priorità della scuola, ma non sapere (o volere o potere) assumere le decisioni conseguenti per dare sostanza alla petizione di principio. Ovvero volere i risultati senza avere la forza di sostenerne i costi. Avere le idee chiare può non bastare per uscire dall’emergenza; ma rinunciare ad acquisire quelle chiarezze – anche a costo di scelte dolorose – è il modo sicuro per soccombere. 

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