Durante una giornata commemorativa, in una scuola superiore israeliana, quattro personaggi mascherati da unicorni irrompono in scena e freddamente massacrano a colpi di pistola alcuni studenti. Inizia così la serie Blackspace, recentemente apparsa su Netflix. Rami Davidi, il detective che conduce l’indagine, ben presto capisce di non dover cercare fuori dalla scolaresca gli assassini. Un delitto che nasce dal piano ben congegnato di alcuni studenti, il cui movente è di fatto un profondo disagio che interroga e provoca il mondo adulto a una riflessione su cosa i giovani si aspettino da chi ha il compito di educarli.



Un rimprovero, anzi il rimprovero, implicito inizialmente, sempre più esplicito verso il finale, che i giovani assassini muovono ai loro genitori e docenti, è di aver taciuto di fronte al male da loro compiuto in alcune drammatiche vicende, di averle insabbiate per quieto vivere, di non aver espresso un giudizio e di conseguenza di non aver potuto a loro volta nominare, rendersi consapevoli ed espiare il loro male. Un tema forte, di cui la serie mostra conseguenze estreme, tingendosi in alcuni momenti di una efferatezza impietosa.



Al di là dell’estremizzazione della situazione, tale rimprovero interroga ogni educatore e non nego di averne percepito il richiamo durante gli scrutini. Delicatissimi in questa fine d’anno, soprattutto nella scuola superiore: da una parte è risultata evidente ai docenti l’impossibilità di tornare ad applicare i criteri di valutazione pre-Covid, in considerazione del continuo variare di obiettivi di apprendimento, modalità di proposta di contenuti e di verifica che l’alternarsi di didattica a distanza e in presenza imponeva. D’altro canto, non si è potuto negare a conti fatti che la “sanatoria” finale dell’anno scorso abbia fortemente ostacolato la consapevolezza negli studenti dell’effettivo raggiungimento di conoscenze e competenze, e di una verifica sincera rispetto al loro orientamento.



A ciò si aggiunga il fatto che l’emergenza ha di fatto acutizzato la differenza tra gli studenti che sono stati in grado di reagire positivamente responsabilizzandosi e divenendo protagonisti della loro formazione, e di quelli che invece, per svariati motivi, spesso indipendenti dalla volontà e non necessariamente ascrivibili all’inadempienza, si sono trovati in seria difficoltà ad affrontare la complessità della situazione, perdendo interesse e motivazione allo studio e alla vita scolastica tout court.

Non è stato sicuramente semplice per i docenti tenere in debita considerazione tutti questi fattori e al contempo assumersi la responsabilità di nominare e giudicare le diverse situazioni, proponendo strade di recupero laddove possibili con uno studio estivo o decretando la non ammissione per i casi più compromessi. È risultato altresì evidente che il docente non può esimersi dal giudicare e lo deve innanzitutto agli studenti, che hanno sempre più bisogno di confrontarsi con adulti capaci di interpretare la realtà senza insabbiare i dati e al contempo senza fingere che in questi anni non sia accaduto qualcosa di cui anche la scuola porterà le conseguenze a lungo, certi che una strada possibile per tutti e per ciascuno c’è, e di conseguenza capaci di rischiare sulla libertà del giovane rendendolo coprotagonista della sua educazione.

Occorre che tale presa di coscienza informi la proposta scolastica degli anni a venire, cercando nei consigli di classe e nei collegi docenti, nel dialogo tra colleghi di scuole diverse, modalità didattiche che facciano leva sui punti di forza di ciascuno studente, rispondano al suo desiderio di conoscere e capire, mettano in moto la sua capacità di azione e di collaborazione con i pari. 

Sicuramente sarà importante continuare a riflettere su quali siano davvero gli essenziali delle proprie discipline, in primis i contenuti, gli strumenti concettuali e di linguaggio, gli obiettivi di apprendimento da perseguire per introdurre gli studenti alle discipline e attraverso di essi alla realtà, sino a coglierne il suo significato.

Inoltre va ripensata la didattica in classi che si rivelano sempre meno omogenee, realizzando forme di apprendimento per livelli e favorendo la collaborazione tra pari. In terzo luogo sarà utile concepire la scuola come luogo in cui i ragazzi possano trovarsi a studiare, condividere con i docenti e con i pari le loro difficoltà di apprendimento e i tentativi di risposta alle loro domande.

La scuola della ripartenza si auspica insomma sia un luogo scevro da formalismi, alleggerito da inutili burocrazie e prioritariamente teso a rifondare quella speranza nel futuro che sola può essere trasmessa ai giovani da una certezza nel significato buono della realtà anche in tempi bui e da una compagnia fedele nel presente.

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