Un esercito di insegnanti si è sorbito quest’estate 20 ore di formazione ministeriale online intitolata OrientaMenti. La trovata che cala dal cielo sul prossimo anno scolastico è infatti l’orientamento degli studenti. Dovremmo facilitarli “a capire che cosa si può fare da grandi”, a “delineare un loro progetto di futuro”.



Io insegno una lingua del passato, che di per sé contraddice l’avvenirismo degli orientatori: come farò “didattica orientativa” se Orazio scrive “carpe diem, credi al domani quanto meno puoi”? o se Seneca scrive che “tu vorresti organizzare quanto è nelle mani del destino. A quale scopo? A cosa vorresti arrivare? Tutto quanto deve ancora venire è incerto: vivi il tuo presente”?



L’orientamento presuppone il modello dogmatico del self made man: pare che la realtà non mandi continuamente all’aria il tuo “progetto di vita”, facendoti capitare incontri, malattie, occasioni, figli, guerre.

Un’atavica deformazione letteraria mi fa venire in mente che per Dante a vedere bene il futuro e male il presente sono i dannati dell’inferno. Ma non ci curiam di Dante e prendiamoli in giro: nel paradiso che ti costruisci da solo non esisteranno disoccupazione, precarietà, flessibilità, mito della performance, psicofarmaci. Nessuno a quarant’anni darà ragione a Jannacci: “Sì ma qui che lavoro non ce n’è / che l’amore si fa in tre / l’avvenire è un buco nero in fondo al tram”.



Noi ti laviamo il cervello fin da piccolo: dormi dormi bel bambino e sogna i prati fioriti promessi dall’Agenda 2030. Mezzo secolo fa ci si illudeva che “il motore del Duemila” avrebbe avuto “un odore che non inquina / lo potrà respirare un bambino o una bambina”. Eppure – cantava Lucio Dalla – “noi sappiamo tutto del motore / di questo lucente motore del futuro / ma non riusciamo a disegnare il cuore di quel giovane uomo del futuro / non sappiamo niente del ragazzo”. Appunto: chi è il ragazzo concreto che sta per entrare in classe? cosa gli passa nel cuore? di cosa ha vissuto quest’estate? quali desideri e quali ferite nasconde?

Lasciamo perdere e mettiamoci a fare i counselers: ti orienteremo per 240 ore, 30 ore per 8 anni. Non bastavano 30 minuti, una tantum? Qualche anno fa, a una ragazza indecisa fra medicina e giurisprudenza, fu sufficiente la domanda: “ma tu vedi Dr. House o Forum?”. Risolse in un attimo i suoi dilemmi e si iscrisse al test di medicina. Poi la vita smentì il suo progetto, ossia non passò il test, e alla fine si laureò in giurisprudenza. Ora invece, in barba alla sbandierata “centralità dello studente”, tu diventi un terminale passivo: dato per ovvio che tu non sei capace di orientarti, lo facciamo noi al posto tuo.

Buona parte delle videolezioni blatera supercazzole sulla “operazionalizzazione di un obiettivo” e simili farfugliamenti. Di tanto in tanto ci si aspetta Gigi Proietti che recita “Il lonfo non vaterca né gluisce / e molto raramente barigatta”. Quando però si ascolta qualche esplicita vaccata sul “disallineamento tra il capitale umano reso disponibile dal sistema scolastico e formativo e le opportunità generate dal sistema produttivo”, non resta che bestemmiare: “capitale umano reso disponibile dal sistema scolastico” andate a dirlo alle vostre sorelle, non ai miei figli! “Cosa si aspettano i nostri ‘clienti’?” “Clienti”, proprio così chiamano i nostri ragazzi, e non se ne vergognano, in mezzo al fumo negli occhi dei loro inglesismi: mismatch, framework, mindset, debrifing, life design. O “construction de soi”, improvvisamente in francese, forse perché questo potpourri fa sentire particolarmente europei.

Sì, ma in pratica cosa dovremmo fare noi insegnanti per trenta ore? Ecco le illuminanti proposte operative. Potremmo chiedere: “quali sono i viaggi che vorrei fare?”. Geniale! “Scegliere una destinazione, ma anche dei compagni di viaggio, identificare il periodo migliore”. Ma va’! Oppure: “come arredare una casa” (qui chi ha sistemato i mobili con il software dell’Ikea parte avvantaggiato); “un curriculum con foto e brani musicali”; o anche “comporre la propria playlist”: quant’è innovativa la scuola boomer che orienta i gggiovani!

Tali rivoluzionarie attività (che le parrocchiette facevano già decenni or sono con i post-it) dovrebbero sviluppare le “competenze trasversali”. Cioè? Le spiegano così: “faccio nuove esperienze, conosco persone, agisco, interagisco in dei contesti”. Trasecolo come Nanni Moretti davanti alla ragazza che, alla domanda su cosa facesse “concretamente”, risponde: “giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose”.

Altre pietre miliari della pedagogia orientativa: un lavoro di gruppo in cui scrivere “come mi vedo io, come mi vedono gli altri”. E Pirandello muto.

Qua e là citazioni citazioni spudoratamente tarocche: “S. Agostino disse: una preghiera fa miracoli, ma il lavoro fa risultati”.

Quiz offensivi dell’intelligenza della foca: “Quale emozione è importante per favorire i processi di apprendimento?”. Quattro possibilità di risposta: “1. La rabbia; 2. La curiosità; 3. La paura; 4. Nessuna”.

D’un tratto, dopo aver vomitato peste e corna contro l’arcaico nozionismo: “Nel corso della videolezione si parla di ‘lezione fenomenica’ e viene proposto un modello di lavoro suddiviso in quante parti?”. Le opzioni (scusate, gli items) sono quattro: “a. 5; b. 6; c. 7; d. 4”.

Il nodo dei nodi è che “è importante che la scuola torni a pensare in termini di competenze per il lavoro”. Altro che Platone, Michelangelo e Leopardi! Cosa te ne fai dopo? Nel nome della sostenibilità ambientale, facciamo la raccolta differenziata materia per materia: in un bidone buttiamo via la letteratura, in un altro la storia, in un altro la scienza. La realtà è il lavoro, come si evince dall’assunto sulla “distanza della scuola dal mondo reale, dal mondo del lavoro”. Bando allo studio, allora: “è più importante essere eclettici che avere competenze specifiche, che invece sono competenze che tendono a essere sorpassate, a diventare obsolete in poco tempo”. Saperla sfangare, insomma. Quanto sono obsoleto!

In una videolezione suggeriscono di chiedere se “ti è mai successo” quello che viene presentato in un racconto. La domanda puzza di carezza prima della supposta, perché non vuole aiutare un ragazzo a cogliere il nesso fra una pagina e la vita, ma veicola la malefica idea della letteratura come pretesto, come trappola: stavamo leggendo, cosa mi orienti, cretino? Stavamo parlando, cosa cali la mano, porco?

La poesia, cari sapientoni, non è un trampolino ma un mare; il sapere è disinteressato, come ci insegnano quei filosofi di cui non avete idea; la conoscenza è un fine, non un mezzo. A cosa serve? Non al tuo lavoro domani, ma alla tua persona adesso. Quando di una materia liceale ci domandiamo “a cosa serve?”, non intendiamo “cosa me ne faccio?” ma “che senso ha?”. Non siamo al livello funzionale del comprare un piatto di plastica, ma a quello metafisico del guardare un quadro di Magritte. La divina commedia non ti fa chiedere cosa farai, ma cosa sei.

Questo ennesimo atto della deriva funzionalistica della scuola, compagno delle 90 ore di Pcto e dei Tolc di medicina al quarto anno, presuppone che insegnare voglia dire preparare i ragazzi al cursus honorum dei borghesi. Invece abbiamo bisogno di pensiero puro, di poesia gratuita, proprio perché nascano e si rafforzino quelle domande di senso e quelle categorie di interpretazione della realtà irriducibili alla produzione e al consumo. Non si tratta appena di raggiungere obiettivi, ma dello scopo degli obiettivi. Anche perché, come canta Ivano Fossati, “a 18 anni un lavoro non lo cerca più / a 18 anni un lavoro che gli serve a fare / se si guarda intorno e non ha già più terra dove andare?”. Ci vuole un orizzonte, non appena delle attività: com’è che non ce ne accorgiamo?

Ogni cliente adesso avrà a disposizione un e-Portfolio, in cui pubblicare il suo “capolavoro”, come lo definiscono euforicamente: la cosa più bella che hai fatto quest’anno, scolastica o anche extrascolastica. Un social sfigato, insomma. Scusatemi tanto, io quello che sono non è detto che voglia condividerlo con voi. La scuola che pretende di impadronirsi del mio tempo libero è totalizzante, totalitaria. Quello che per definizione è extrascolastico può entrare nel territorio scolastico solo liberamente, non coattamente. Voi la mente non me la orientate: io potrei anche girarmi dall’altra parte, alla faccia degli OrientaMenti e dei DeMenti. Non lo sapete che desidero infinitamente di più?

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