Anche quest’anno ha fatto rumore l’esame di maturità, in fondo è una tappa per cui quasi tutti sono passati. Ha anche compiuto 40 anni la famosa canzone Notte prima degli esami, proprio quelli che molti ancora vedono comparire nei loro peggiori incubi: scene mute o cervello in blackout. Molti hanno letto e commentato le tracce della prova di italiano, l’inserimento del “capolavoro”, i mazzi di fiori all’uscita dalla prova orale. Pochi, invece, han scritto qualcosa relativamente a quelli dei fratelli minori della scuola secondaria di primo grado. Forse perché un esame fatto totalmente “in casa”, creato ad hoc per ciascuna scuola e quindi non di carattere aggregativo. Il primo vero banco di prova che molti stanno anche mettendo in discussione. Eppure, ha smosso molte domande, riflessioni e interrogativi.



La premessa è che valutare è veramente complesso (e solo in merito a questa tematica si potrebbe disquisirne ore) e che i nostri alunni sono diversi anche solo da un decennio fa. Quest’ultimo elemento non può essere scisso dal processo valutativo. Una docente mi ha condiviso: “ho visto così tanta fragilità in lui che mi sono chiesta cosa possano fare ragazzi che alle spalle non hanno nessuno; viceversa, sostenerli troppo li danneggia?”.



Questa è la fune da equilibrista su cui si son evoluti gli esami anche quest’anno. Ragazzi fragili, poco preparati didatticamente ed emotivamente, inconsapevoli (anche di non essersi preparati in modo adeguato) da una parte; ipersostenuti, accompagnati (anche fisicamente), guidati, dall’altra. A molti è mancata anche la capacità di affrontare un colloquio utilizzando in modo semplice la lingua madre, molti non sono riusciti a muoversi in modo autonomo in uno spazio piccolo e scelto precedentemente, taluni si son presentati a mani vuote come se tutto il bagaglio creatosi nell’ultimo anno del triennio non fosse mai esistito e fosse stato solo un contorno riempitivo delle mattinate scolastiche (eventuali portfolio in lingua straniera, tavole di arte, strumenti musicali, plastici di tecnologia, etc.). Quali riflessioni può far nascere questo spaccato di (pre)adolescenza?



Forse quanto scrive anche Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e psicoterapeuta, può aiutare a leggere un po’ meglio quanto sta accadendo ai nostri ragazzi, qual è la metamorfosi in atto. È come se la scuola non ricevesse più l’importanza etica e simbolica che da sempre la caratterizza ed è come se questo creasse un contrasto con un mondo adulto che, invece e di conseguenza, sottolinea e accusa l’attitudine degli adolescenti a non voler far fatica e a evitare le responsabilità (i nostri alunni cercano di mascherare la loro impreparazione scolastica, sportiva, sessuale, sociale, a volte anche con la copertura dei genitori stessi). Dall’altra parte stiamo assistendo a un mondo adolescenziale che ha cambiato il proprio codice regolativo anche casalingo, che ha modificato la percezione dell’andare a scuola e del proprio mondo relazionale. Le variabili da considerare sono molteplici e non legate solamente al mondo scolastico, sarebbe riduttivo. È come se venisse chiesto a noi docenti, dopo aver considerato tutte le variabili possibili, di modificare il tasto di accensione della motivazione intrinseca, anche e soprattutto dello studio. Ha perso senso studiare, approfondire, parlare correttamente in italiano, imparare a memoria delle formule matematiche, acquisire un metodo di studio. È come se avesse perso senso andare a scuola. Non perché non sia più considerato importante, assolutamente no, ma perché è venuto meno quel valore etico, simbolico, sociale, di protesta, di formazione di un pensiero, di senso del dovere (anche, in fondo) o di possibilità, che fino ad oggi l’istituzione scolastica ha rappresentato.

Il livello di acquisizione delle conoscenze dei nostri alunni è oggettivamente peggiorato, spesso è gravemente lacunoso. È opinione comune tra i docenti che i nostri alunni fatichino a formulare un pensiero in italiano in modo corretto o a scrivere un testo senza errori ortografici, sintattici o logici. Però, da educatori, mai sazi di speranza, eccoci qui a fine anno scolastico a tirar le somme e a lasciarci provocare. Proviamo a ri-leggere gli eventi, non smettiamo di formarci, continuiamo studiare, a prepararci, a conoscere e a scoprire sempre di più chi sono i nostri ragazzi. Ci interroghiamo sul nostro operato e anche su quanto accade ai nostri alunni. Perché, se tutto si sta modificando, è evidente, ciò che non può mutare è il desiderio di continuare a cercare quel tasto che accenda la motivazione intrinseca dei nostri ragazzi, in questo tempo, in questo contesto. È necessario trovare nuove strade per costruire ponti che sappiano riconsegnare valore e valori, non solo alla scuola, ma a tutti i suoi protagonisti.

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