Durante i mesi della pandemia e della didattica a distanza ho attraversato una profonda crisi: lo schermo che mi separava dai ragazzi sanciva una lontananza che non era solo fisica, ma soprattutto emotiva. Avrei voluto cambiare la mia didattica per rendere le lezioni più vicine ai bisogni dei ragazzi, ma molti dei miei tentativi risultavano fallimentari. La mia frustrazione mi ha portato a essere spesso rigida ed esigente e il rapporto con gli studenti ne ha risentito.
Una volta ripresa la scuola in presenza mi è rimasta una domanda a cui non riuscivo a dare una risposta: come rendere le ore di lezione momenti in cui i ragazzi si sentano ascoltati e visti?
Un’insegnante mi ha parlato del “Libro fondativo” e ho subito colto, anche se in modo confuso, quell’aspetto di cura che andavo cercando: leggere ad alta voce è un bel modo di dedicarsi ai ragazzi, è uno stare per loro e con loro. Io insegno italiano e storia nel triennio di un istituto tecnico tecnologico statale di Verona e leggere ad alta voce un intero testo era una pratica che non avevo mai considerato: ero solita dar da leggere un romanzo a casa e poi, in una lezione dialogata, confrontarmi con gli studenti sulle tematiche del libro.
Ho quindi deciso che a settembre, con la nuova classe terza (22 ragazzi e 3 ragazze), avrei iniziato l’esperienza della lettura ad alta voce.
Mi sono inoltre chiesta come integrare questa attività all’interno della consueta pratica didattica.
Le linee guida per gli istituti tecnici prevedono che, nel secondo biennio, il docente progetti e programmi “l’itinerario didattico in modo da far acquisire allo studente le linee di sviluppo del patrimonio letterario-artistico italiano e straniero e gli strumenti per comprendere e contestualizzare, attraverso la lettura e l’interpretazione dei testi, le opere più significative della tradizione culturale del nostro Paese e di altri popoli”. Trovo inoltre molto significative anche le seguenti affermazioni, tratte dalle Indicazioni nazionali per i licei, ma che ben si possono declinare anche per gli istituti tecnici:
“Il gusto per la lettura resta un obiettivo primario dell’intero percorso di istruzione, da non compromettere attraverso una indebita e astratta insistenza sulle griglie interpretative e sugli aspetti metodologici…”. L’incontro con un libro “fondativo”, letto ad alta voce, potrebbe essere un ottimo strumento per raggiungere questi traguardi.
L’attività proposta in classe ha occupato, tra settembre e ottobre, otto ore di lezione, comprensive di verifica e questionario finale.
Nella classe terza si inizia lo studio della letteratura. Mi è capitato spesso che, attraverso la didattica tradizionale, i ragazzi trovassero noiose, se non inutili, queste lezioni.
Perciò ho voluto aprire l’anno con una breve lettura, provocatoria, tratta dal testo di Aidan Chambers, Breaktime: i due giovani protagonisti, Morgan e Ditto, a ricreazione, discutono sul valore della letteratura e Morgan, che la ritiene inutile, scrive una serie di capi d’accusa per motivare la sua posizione.
“1. La letteratura come modo di raccontare storie è superata. Estinta. Finita. Defunta. Le storie come forma di intrattenimento al giorno d’oggi ci arrivano più facilmente attraverso il cinema e la televisione (e di che cosa si è mai occupata la narrativa se non di intrattenerci attraverso storie interessanti?).
2. La letteratura è, per definizione, una bugia. La letteratura è una finzione. La finzione è il contrario dei fatti. I fatti sono la verità. A me interessa solo la verità.”
Una volta letto il testo ho lasciato ai ragazzi una domanda a cui non abbiamo dato una risposta: A che cosa serve la letteratura?
Ho poi iniziato la lettura ad alta voce di tre fiabe di Hans Christian Andersen.
Perché questa scelta? A questo proposito è stato significativo l’incontro con Paolo Molinari, il quale mi ha avvicinato al senso profondo delle fiabe. Come egli stesso scrive nel suo libro Fiabe del desiderio, “Le fiabe di Andersen sono una bussola preziosa per ritrovare la nostra umanità e un sentiero per affrontare il viaggio della vita”.
Ho iniziato con la lettura de L’uomo di Neve, ho continuato con Il rospo e ho concluso con Il lino. I protagonisti di queste fiabe sono caratterizzati dall’essere pervasi da una profonda inquietudine che li spinge ad andare avanti: il dolore, la sofferenza e infine la morte sono condizioni necessarie per ascendere al compimento del proprio destino.
Al termine della lettura di ogni fiaba ho proposto delle domande di comprensione e riflessione: all’inizio la classe era silenziosa, poi, con il procedere dei giorni, sempre più ragazzi hanno iniziato a prendere la parola, creando un clima non giudicante, ma di accoglienza. Nel momento del confronto ho supportato i loro interventi, guidandoli a un livello superiore: senza spiegare che cos’è una metafora o un’allegoria, ho fatto osservare questi elementi nei testi che leggevamo. Gli allievi hanno così colto in modo semplice e intuitivo il doppio livello di lettura, connotativo e denotativo, del testo. In questo modo ho messo le basi per l’analisi del testo letterario, la tipologia A dell’esame di Stato.
Come strumento di supporto per la comprensione ho proposto lo schema a Y, derivato dal metodo Writing e Reading Workshop. Tale schema prevede di dividere il foglio in tre parti tracciando una Y: nella parte in alto gli alunni scrivono le impressioni, ciò che maggiormente li ha colpiti. Nella parte destra c’è il posto per le domande-guida che aiutano nell’analisi complessiva del testo. Una domanda importante riguarda il riconoscimento e l’interpretazione di eventuali simboli o metafore. Nella parte sinistra ci sono le connessioni con altre letture (nel mio caso ho fatto riflettere i ragazzi sulle analogie tra le fiabe lette), con le loro esperienze personali e con il mondo, quindi con conoscenze più ampie.
Per quanto riguarda il momento di verifica, ho proposto l’analisi di una fiaba di Dino Buzzati, I giorni perduti. Il testo è breve e semplice, ma richiede una buona competenza decodificativa, che i ragazzi hanno mostrato di aver acquisito in modo più che sufficiente. Ma l’aspetto che maggiormente mi ha colpito, è stata la loro fluidità nel tracciare connessioni con le loro esperienze personali, competenza questa spesso deficitaria negli studenti di un istituto tecnico che “non sanno mai cosa scrivere”.
A conclusione del percorso ho posto loro un questionario per verificare se l’attività è stata significativa.
Ritengo ora opportuno lasciare la parola ai ragazzi, riportando alcune risposte.
Filippo: “Il rospo mi ha fatto pensare a mia sorella che essendo discalculica e disgrafica ci mette tanta determinazione e impegno per quello che deve fare”.
Daniel: “La fiaba che più mi è piaciuta è quella del rospo, perché mi rispecchio nella sua determinazione nell’aprirsi a nuovi orizzonti e spingersi sempre oltre”.
Federico: “Penso che come ci insegna Il lino non dobbiamo mollare mai nei cambiamenti e momenti più duri, dobbiamo trovare il bello e l’aspetto positivo di ogni cosa per vivere meglio: il lino è stato trasformato in mutande, ma era felice perché si sentiva utile”.
Youssef: “Il lino descrive come nella vita possano cambiare molte cose, anche in fretta. Tre anni fa abitavo in una bella casa e da un giorno all’altro mi sono trasferito. All’inizio non ero felice e pensavo che sarebbe stata dura abituarsi, ma se oggi ci penso non è stata una brutta cosa”.
E allora, a che cosa serve la letteratura?
Ancora, in classe, dobbiamo dare una risposta: sono molte le letture che ci aspettano.
Ma voglio concludere con una riflessione che, tra tutte, penso riassuma il senso di questo lavoro e, forse, anche della letteratura. È la risposta di Giacomo, un ragazzo vivace e che spesso in classe si annoia: “Ascoltare fiabe fa bene ai ragazzi che quando sono da soli non lo fanno”.
Leggere ad alta voce è qualcosa che fa bene agli alunni e ai docenti. È ascolto reciproco, è un modo di prendere per mano i ragazzi e accompagnarli nel cammino della loro vita.
Per info: librofondativo.blog
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