È stato come attraversare un mare in tempesta e le onde più alte e burrascose ci hanno sommerso in termini di note e norme e circolari che, settore per settore, contesto per contesto, regione per regione, continuavano (e continuano) a scompigliare le tessere di un puzzle che è davvero faticoso comporre.

Ci sono stati medici che non vogliono certificare la fragilità degli studenti e quarantene fiduciarie di docenti, genitori preoccupati alla ricerca di soluzioni impossibili, febbri da misurare nel rispetto della privacy; registri di tracciamento da tenere, percorsi obbligati di ingressi e uscite, orari da organizzare, dispositivi da consegnare a cadenza periodica e enti locali che hanno dato il via a lavori di edilizia leggera in concomitanza dell’avvio delle attività didattiche. Spazi da recuperare anche all’esterno e Rsu inferocite perché il giardino delle scuole è destinato ad attività alternative e non più al parcheggio delle auto. Lavoratori fragili da sostituire che vogliono conservare le loro cattedre “perché quando torno tocca a me che sono più anziano…”.



Ci siamo sentiti, talvolta, come i barellieri nei campi di battaglia o nelle trincee di guerra, chiamati a soccorrere ogni comprensibile urgenza, a fare e disfare la tela dell’organizzazione con qualsiasi variabile che sopraggiungeva.

Eppure, in questo mare burrascoso, ho visto una scuola all’opera e professionisti della didattica dare il meglio di sé. Un middle management (per utilizzare un termine noto e forse abusato) che, persino in assenza di “investitura” ufficiale, si è messo all’opera per cercare una soluzione che garantisse la presenza, ma anche occasioni di apprendimento reale ed efficace, alternativo o a distanza.



In questo particolare anno scolastico, rivolgendo lo sguardo non su ciò che manca (e che non abbiamo deciso noi), ma su ciò che desideriamo di più, cioè vivere la scuola come luogo di relazione responsabile e di crescita umana e civile, abbiamo puntato sulle persone. Se la scuola “funziona”, e non nell’ottica di replicare ciò che era “prima” in una dimensione che non esiste più, è merito delle persone. Vedo collaboratori scolastici non risparmiarsi, pulendo e sanificando, spostando mobili e suppellettili, partecipando alle “manovre” di ingresso e di uscita con una responsabilità inusitata. Il personale di segreteria impegnato ad imparare nuove dimensioni di relazione e di lavoro improntate al miglioramento e all’efficacia, direttori dei servizi multitasking e operosi.



E poi gli studenti. Splendidi. I ragazzi di cui tutti parlano male perché si assembrano per le strade e nei baretti della movida (ma magari nessuno gli rammenta la prudenza che occorre e “perché” bisogna salvaguardarsi a vicenda) e invece, a scuola, hanno aderito subito a regole e attività, si destreggiano in percorsi alternati e complicati che filano come un sogno. Insomma, la “gente di scuola” è partita non dalle regole, ma dal desiderio di suscitare senso d’identità, appartenenza e responsabilità attraverso una collaborazione attiva di tutta la comunità educante. E la differenza, voglio ridirlo, la fanno le persone. Non l’organizzazione.

Ci sono richieste assurde che, il più delle volte, vengono dagli adulti. Ma da quegli adulti completamente focalizzati nel perimetro ristretto della propria dimensione di vita che non può essere scalfita. Non siamo in grado di valutare se un alunno è fragile e perché, non è il nostro mestiere, ma sappiamo accompagnarlo in un percorso delicato. Vogliamo garantire distanziamento e sicurezza, ma non accollarci responsabilità ultronee se ci piantano un cantiere nel cortile della scuola con gli operai che devono per forza lavorare quando ci sono gli studenti. Ci siamo dovuti inventare posti impossibili, dai container ai tetti, dove stoccare suppellettili non più utilizzabili per cercare spazio e vivibilità. Nondimeno l’inizio è stato colmo di bellezza, di sguardi e di gioia. E il cammino, pieno di tremore, si prefigura già ricco di commozione e di traguardi.

Lasciatelo in pace il popolo della scuola, anzi guardatelo operare senza pretese assurde. Accompagnatelo, agevolatelo, contribuite. Vi aspettiamo. Ancora.