In Francia, a Pont Arc, si trovano le grotte di Chauvet, considerate la Cappella Sistina della preistoria. Più di cento pitture che raffigurano animali e uomini, con tecniche pittoriche come lo sfumato per dare il senso della prospettiva e del volume della figura; pitture magnifiche che cercano di far trasparire l’azione e la tensione emotiva dei soggetti rappresentati.



Per molto tempo la datazione di 40mila anni ha fatto discutere gli studiosi, perché era ritenuto impossibile che l’uomo di quel periodo potesse padroneggiare una tecnica pittorica ed una profondità spirituale tali da permettere la creazione di una simile meraviglia.

Per dare un’idea, siamo alla fine dell’era glaciale, le Alpi erano ricoperte da un ghiacciaio spesso 1,5 km, si poteva andare a piedi in Gran Bretagna perché il mare del Nord era completamente ghiacciato, la lotta per la sopravvivenza era ad un livello tra i più difficili della storia umana. Eppure quegli uomini investirono una quantità considerevole di tempo ed energia, per allestire quella “cattedrale naturale” in cui si ritrovavano per svolgere riti religiosi ancestrali in cui si raccontava di spiriti e uomini.



La domanda che sorge inevitabile è perché uomini in condizioni di vita così difficili e dure sentissero la necessità di raccontare storie e rappresentarle in tutte le forme d’arte possibili. Quale esigenza fondamentale si nasconde dietro il bisogno di raccontare? Quale potere è insito nella capacità dell’uomo di inventare storie?

L’uomo è strutturalmente esigenza di significato. Nessuno di noi ha chiesto di venire al mondo, ci ritroviamo nella realtà e dato che siamo gli unici esseri dotati di coscienza non ci basta vivere, ma esigiamo un significato a questo vivere. Ecco quindi che con il nascere della domanda inizia il viaggio della ricerca del senso del vivere. Il problema ulteriore è che non possiamo aspettare di aver trovato la risposta, ogni giorno ci alziamo e dobbiamo affrontare la realtà. Anche se non sappiamo cosa sia l’amore, la verità, il dolore, la morte … ogni giorno dobbiamo affrontarli e vivere.



Sarebbe utile, a questo punto, una “mappa” che ci permettesse di comprendere meglio la realtà, di facilitarci nel nostro viaggio, dandoci almeno delle indicazioni di massima sulla direzione da prendere. Le storie sono questa mappa di senso. Come scrive Károly Kerényi, uno dei più grandi studiosi di mitologia, l’uomo attraverso i miti ordina il mondo. Noi uomini non abbiamo creato il mondo, ma possiamo trasformare il caos in cosmo, ordinando il mondo attraverso l’introduzione del senso.

Gli uomini delle grotte di Chauvet per poter affrontare la costante fatica e il dolore del rapporto con la realtà hanno avuto la necessità di trovare un significato, rappresentato nei disegni, nelle musiche e nei racconti. Perché senza significato la vita degrada nella disperazione e un uomo disperato, senza significato, si arrende e smette di lottare. Viene divorato dalla tenebra, uno degli archetipi fondamentali della narrazione mitica di tutte le civiltà. L’arte è l’introduzione di questo senso, per questo tutte le civiltà nascono sulla base di un racconto, perché senza significato non è possibile vivere e quindi non è possibile costruire nessun tipo di società e progresso.

Se analizziamo con questa premessa il mito di Gilgamesh, una delle narrazione più antiche per ora trovate, ritroviamo chiaramente una bellissima testimonianza di quanto detto fino ad ora. Il racconto è una “mappa” per indicare agli uomini il senso della vita. Le coordinate entro cui si muove l’uomo sono il desiderio, il dolore e la fatica. Non come punizioni, ma come condizioni necessarie per diventare uomini. Gilgamesh passa dall’arroganza che lo rende disumano all’umanità vera che lo rende un buon re, attraverso l’esperienza del dolore e della fatica. Supera la propria arroganza nell’esperienza della perdita e nella consapevolezza del proprio limite.

Basterebbe solo questo per comprendere la barbarie culturale in cui è sprofondata la nostra civiltà, che oggi si fonda proprio sull’arroganza e l’assenza di limiti.

La religione del nostro tempo impone di credere ad una visione perversa della libertà, in cui l’unica cosa che conta è “l’io da solo”, la sola cosa reale è il godimento dell’individuo, è la capacità del singolo di prendersi nei modi più diversi, attraverso la propria libertà, quote sempre maggiori di godimento. Questa è la menzogna “del farsi da sé”. Ricordo che questa espressione “mi sono fatto” è quella del tossico, il nostro tempo propone un’immagine tossicomanica della libertà. Questa menzogna nega il dato costitutivo dell’essere umano che è la necessita del legame con l’Altro, sia in termini umani sia in termini religiosi. La necessità del nostro tempo è aiutare noi stessi ed i ragazzi a recuperare questa coscienza che noi siamo dipendenti da “Altro”; il nostro stesso ombelico ci ricorda che per venire al mondo è stato necessario essere attaccati ad un’altra persona, nostra madre, che a sua volta ha avuto bisogno di un altro, nostro padre, perché potessimo entrare nel suo grembo; gli uomini delle grotte di Chauvet ricordano a tutti noi che la realtà si mostra dipendente da un “Altro”, con la maiuscola che un tempo chiamavano Dio. Per questo è di primaria importanza leggere racconti che parlino di questo legame, che risollevino lo sguardo della nostra umanità dalla contemplazione narcisistica di noi stessi.

La debolezza delle nuove generazioni, la loro fragilità nasce fondamentalmente da questa menzogna in cui sono immersi, dalla mancanza di una base culturale che li aiuti, li guidi nel viaggio alla comprensione del mondo e di loro stessi. Compito primario della scuola è introdurre, aiutare gli alunni di qualsiasi età in questo viaggio, ma è anche l’unico modo per noi insegnanti di provare entusiasmo e soddisfazione nel nostro lavoro. L’alternativa è solo lamentela e frustrazione.

Ecco che la lettura ad alta voce delle “storie”, in qualsiasi contesto scolastico (come dimostrano molte esperienze), consente di far crescere e recuperare l’umanità delle persone, addentrandosi, insegnanti e alunni, in un’avventura educativa dove l’adulto-insegnante, disposto a comunicare se stesso, fa il percorso insieme ai suoi alunni per rispondere alle vere domande della vita.

Leggere le storie, offrendo in dono la letteratura, è una modalità di vivere il rapporto educativo, nella consapevolezza che se gli adulti non offrono le storie per interpretare la realtà, altri lo faranno facendo altre proposte.

Diventa importante la scelta del testo da leggere, la progettazione puntuale, il lavoro di riflessione e produzione.

Per info: librofondativo.com

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