Caro direttore,
è impressionante il sondaggio pubblicato in questi giorni dall’Istituto Cattaneo, che ha scelto di indagare sui pregiudizi antisemiti negli studenti del primo anno di tre prestigiose università (la Bicocca di Milano, quella di Bologna e quella di Padova). Alla domanda se gli ebrei siano più leali verso lo Stato di Israele o verso il proprio Stato di nascita, il 29,8% risponde affermativamente, che cioè sono più leali a Israele e tra questi il 48,2% sono elettori del centrodestra. A riscontro di questa risposta, c’è anche un item che chiede se sia vero oppure no che gli ebrei non sono italiani fino in fondo. Per il 13,8% è vero che non sono del tutto nostri compatrioti ed è particolarmente vero per gli elettori del centrodestra, che ammontano al 38,1%. Ma, alla domanda se sia paragonabile l’attuale comportamento israeliano sulla Striscia di Gaza a quello dei nazisti, se il 46,3% del totale degli intervistati risponde che sì, è paragonabile, questa volta prevale il 59% che si orienta politicamente verso il centrosinistra. Il 30% circa, poi, risponde positivamente all’affermazione che gli israeliani siano diventati da vittime aggressori, sfruttando a loro favore i crimini nazisti che hanno subìto.



Non credo che valga la pena di ricordare che lo scorso 7 ottobre gli israeliani hanno subito un’aggressione mirata allo sterminio genocida di gente civile, in quanto ebrea. C’è da chiedersi, piuttosto, come abbia funzionato la scuola superiore nell’educazione allo spirito critico (visto che gli studenti del sondaggio appartenevano al primo anno di università). Frugando tra i miei ricordi, mi rendo conto che sono ormai anni da che la Giornata della memoria (che ricorre tra un paio di mesi) è ridotta alla lettura di qualche circolare ministeriale e alla esecuzione cerimonialistica di qualche manifestazione interna alle scuole, con tanto di conferenze. Forse non ha neppure senso far presente che Hamas dichiara nel proprio statuto le necessità di estirpare lo Stato israeliano e, finalmente, gli ebrei stessi, compito perseguito da quei nobili precursori che durante la Seconda guerra mondiale dichiaravano di voler purificare la specie umana da razze immonde.



In questi giorni, inoltre, pervengono alle scuole documenti recanti le firme più disparate, di soggetti sconosciuti ai più, i quali rivolgono a dirigenti e docenti l’invito a prendere posizione sugli eventi in Palestina. Nella maggior parte dei casi, si tratta di lettere non corredate da un’analisi storica approfondita, animate invece da afflati ideologici pregiudiziali. Esse contengono inviti del tutto inadatti a stimolare una riflessione seria e ponderata, consona al mondo scolastico. Spesso includono espressioni razziste e talvolta inneggiano alla legittima e fiera reazione di Hamas (sic).



Sappiamo che le scuole, se non possono eludere l’attenzione alle vicende della contemporaneità, devono esaminare le stesse con il metodo dell’oggettività didattica, in un contesto pluralistico coerente con la natura democratica delle nostre istituzioni, la quale impronta altresì le attività delle scuole del sistema nazionale d’istruzione. Un tale atteggiamento, che si impianta sul metodo scientifico galileiano e che informa la libertà didattica, sancita costituzionalmente, è cosa ben diversa dal furore ideologico che sovrasta l’attualità e che nuoce all’insegnamento stesso, il quale deve essere strutturato in forma dialogica secondo l’originaria lezione socratica. Si può e si deve parlare di questioni attuali nelle scuole, ma ciò non deve comportare prese di posizione, né dei singoli docenti né delle scuole in quanto tali.

A questo riguardo giova ricordare la lezione weberiana sul lavoro degli intellettuali e in particolare dei docenti. Compito di questi ultimi non è quello di illustrare le personali opinioni e opzioni, ma predisporre situazioni educative nelle quali un giovane possa compiere, da cittadino, le proprie scelte. I docenti – suggeriva Max Weber – non sono guide spirituali, certamente non sono profeti e tanto meno leader politici. Questa lezione vale altresì per le scuole, che analogamente ai singoli docenti non debbono prendere posizione su temi politici di per sé divisivi e contrastanti con lo spirito universalistico che connota le istituzioni scolastiche.

Penso che sia il caso di non favorire la diffusione di quei documenti, ma anzi di impedire che essi entrino negli usuali circuiti di comunicazione interni alle scuole; è il caso anche di evitare la riproposizione inattuale e inquietante degli scenari pericolosi degli anni Settanta del secolo scorso.

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