Alice è tornata nelle aule della sua scuola, una piccola secondaria di primo grado della provincia. È già il secondo sabato e qui al sabato si va a scuola. Ancora per quanto non si sa. Anche lo scorso anno non poche decine di genitori hanno chiesto ai loro rappresentanti nel consiglio d’istituto di perorare la causa del sabato libero per tutti. Comprensibile: molte di queste famiglie hanno bambini anche alle elementari e la gestione di orari e impegni sarebbe sicuramente più semplice così.
La discussione in consiglio è stata piuttosto accesa, come sempre. Come sempre non ce l’hanno fatta, ma è sempre più dura da sostenere questa che viene definita una scelta quanto meno originale da parte di molti genitori e ormai anche da parte di molti insegnanti. Alice qui non è più nemmeno l’ultima arrivata, ricorda con quanta veemenza presidi e docenti che ormai hanno lasciato la scuola hanno difeso questa scelta. E un po’ anche lei ci ha creduto. Ci crede ancora. Anche se è sabato e i suoi figli piccoli stanno a casa con i nonni perché gli asili sono chiusi e il lavoro di suo marito non contempla la settimana corta. Ci crede ancora, anche se ormai si sente un po’ come un marziano. Molti suoi colleghi dicono che conviene ripensarci, per una questione di sopravvivenza, anche: forse le iscrizioni in calo dipendono anche da questa scelta e non conviene rischiare il posto di lavoro di molti per una semplice questione di principio.
Addirittura, dicono ancora i suoi colleghi, anche in molti istituti superiori ormai l’orario contempla la settimana corta. Persino il ministro propone di ridurre non i giorni, ma addirittura gli anni degli istituti tecnici. Altro che tenente Drogo: qui l’assalto è reale, qui i tartari arrivano da tutte le parti e Alice un po’ ci ha pensato quando si è trattato di votare in consiglio lo scorso anno. Poi però ha votato perché il sabato ci fosse scuola, come sempre. Ha votato pensando ai suoi alunni e a quello di cui davvero hanno bisogno per crescere e imparare, che è lo stesso di cui lei ha bisogno per crescere e imparare. Ha pensato al tempo. Che non è uguale se lo passi al supermercato il sabato mattina con tuo fratello piccolo che piange nel carrello e la mamma che arraffa cose, imprecando perché tutto costa sempre più caro, oppure lo passi a scuola davanti a un problema o a una pagina d’inglese, o a una poesia di Ungaretti. Mica perché il problema o l’inglese o Ungaretti siano meglio del supermercato in assoluto, ma perché adesso, in questo momento preciso della vita dei suoi alunni, quelle pagine e quei numeri, come voleva Prevost, significano diventare grandi, procurarsi nuove possibilità, far diventare grande la propria vita perché si tiene dentro la vita degli altri.
Alice ha pensato al tempo e alla fatica: togliere il sabato vuole dire automaticamente distribuire quelle cinque ore sugli altri giorni della settimana. E se va bene si aggiungono due ore al lunedì e al mercoledì, e magari un’ora al venerdì. Oppure si inventano gli spazi orari: mica ore di lezione, ma minuti, 50 o 55, con tutti i minuti che si rubano che andranno recuperati, aggiungendo giorni al calendario o chissà come. E come fanno Marco, Simone e Beatrice a far quadrare i conti con la pallavolo, il calcio e il basket se poi vogliono anche studiare?
Quando deve votare in consiglio d’istituto, Alice ha in mente loro, la vastità delle loro insicurezze, ha in mente la necessità che hanno di essere guidati e accompagnati, ma anche il loro bisogno di avere spazi in cui sono loro a prendere in mano la loro vita. È proprio in questo tempo che lo studio comincia a diventare un’avventura personale, che l’apprendimento e la comprensione, attraverso la ripresa individuale, possono consentire l’intrapresa di ciascuno di loro. Lo spazio per uno studio individuale che sia stato introdotto ed esemplificato nelle lezioni del mattino è indispensabile perché Marco, Simone, Beatrice e tutti gli altri possano vivere da protagonisti la scuola e possano gestire tutte quelle attività che contribuiscono a farli crescere.
Questo lavoro può essere fatto se quasi tutti i giorni finiscono la scuola alle quattro e mezza? Questo lavoro potrà mai essere fatto dagli studenti nella giornata di sabato, recuperando quello che hanno lasciato per strada? Sarebbe davvero diseducativo se lo lasciassimo credere ai nostri alunni e anche ai loro genitori. Lo studio ha bisogno di un metodo e non c’è bisogno di essere Cartesio per comprenderlo. Non riconoscerlo vorrebbe anche dire non riconoscere la peculiarità della scuola media che, non a caso, viene messa in discussione come l’anello debole della scuola italiana: perché la si vorrebbe appiattire alternativamente o sulla scuola elementare o addirittura sulla scuola superiore. È qui invece che si gioca una partita difficile e necessaria: quell’imparare a imparare che diventa una consapevolezza per sempre. Alice lo sa, in questo sabato in cui entra nella sua scuola di provincia con la borsa piena di libri, il cuore pieno di domande e la speranza che, anche grazie a lei, quel tempo lì sia pieno di cose grandi.
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