Le competenze di lingua italiana che gli studenti del Bel Paese posseggono stanno sempre più diminuendo, come le rilevazioni dell’Invalsi e dei test internazionali come Pisa certificano da tempo. La sconsolazione, di conseguenza, imperversa tra i docenti di lettere, a maggior ragione se si pensa all’aumentare smisurato del numero delle pagine cartacee e digitali dei libri scolastici, pubblicato negli ultimi anni.



Non si tratta solo di una questione didattica, rinchiusa tra le quattro mura di un’aula, ma addirittura costituisce una vera e propria “emergenza democratica”, se si incrocia questo trend negativo con un dato sconcertante di quanto emerso lo scorso anno: i risultati dell’ultimo concorso ordinario della magistratura italiana, ovvero di coloro che detengono e praticano il terzo potere dello Stato. Qualcuno forse ricorderà la notizia passata sotto banco: la maggioranza degli aspiranti giudici non è riuscita a superare la prova scritta per gli eccessivi errori di grammatica di lingua italiana.



Nel dettaglio, in base all’ultimo aggiornamento sul concorso da 310 posti che si è tenuto dal 12 al 16 luglio, i candidati erano precisamente 5.827; e di loro soltanto in 3.797 hanno consegnato la busta con la prova. Ma il reale problema si è presentato proprio con la correzione degli elaborati: sui 1.532 compiti esaminati finora dalla Commissione, è passato soltanto, a stento, il 6% dei candidati, ovvero 88 aspiranti. Incredibile ma vero: qual è la ragione?

Gli aspiranti magistrati non sanno scrivere nella lingua italiana e, per riprendere le parole dolenti della Commissione in un analogo concorso del 2008 prima di questo, gli errori grammaticali sono troppi. Il discorso potrebbe essere lungo e complesso, ma da qualche parte si deve pur partire.



Dopo la semplicistica diagnosi del male, quale terapia d’urto seguire? Dalla scuola si dovrebbe partire e a scuola si dovrebbe fare, perciò, “educazione linguistica”, un concetto che ha preso piede all’inizio degli anni Settanta ma non è compiutamente entrato nella prassi didattica dei docenti di lingue, che si tratti di lingua italiana, inglese, greca o latina. Come scrive il professor Balboni, ordinario emerito di Glottodidattica nell’Università Ca’ Foscari di Venezia, “l’educazione linguistica è quella parte dell’educazione generale che include l’insegnamento dell’italiano come lingua nazionale, delle lingue materne diverse dall’italiano (dai dialetti alle lingue minoritarie), delle lingue straniere e di quelle classiche”.

In questo contesto si è svolta ieri un’interessantissima iniziativa: “Progetto per il rinnovamento del curricolo del Liceo Classico. Seminario di studi: Gli apprendimenti linguistici al Liceo Classico”, organizzato dalla Rete nazionale dei licei classici (Rnlc), scuola capofila il Liceo “Cutelli” di Catania e coordinata dalla preside Elisa Colella. Sono intervenuti Augusta Celada (“La didattica delle lingue classiche nella prospettiva dell’educazione e della padronanza linguistica”), e Gisella Langé (“Innovazione, internazionalizzazione, plurilinguismo per il curricolo classico”). È seguita una discussione con una tavola rotonda dal titolo “Plurilinguismo e acquisizione delle competenze linguistiche” con interventi di Lucilla Lopriore (Università degli Studi Roma Tre), di Silvia Minardi (Liceo statale “Quasimodo” di Magenta) e Marco Ricucci (Liceo statale “Leonardo Da Vinci” Milano).

Di fronte a un uditorio collegato via web costituito da oltre 200 docenti di lingua italiana, straniera e classica, da tutta Italia, è emersa la convinzione che l’educazione linguistica è, come sottolinea Balboni, una “azione che mira a far emergere la facoltà genetica caratterizzante l’homo loquens, la facoltà di linguaggio – cioè la capacità spontanea di acquisire non solo la lingua nativa e le altre lingue presenti nell’ambiente in cui si cresce, ma anche altre lingue nel corso della vita – acquisizione piena o parziale che sia”.

L’incontro, infatti, ha messo a confronto accademici, docenti e autorità istituzionali con l’obiettivo di indicare strategie educative e didattiche per prospettare il liceo classico del futuro, in sintonia con le richieste avanzate dalla società della conoscenza, che sempre più prevede un capitale umano dotato di conoscenze, capacità e competenze flessibili e dinamiche, valorizzando la dimensione (pluri)linguistica dell’istruzione classica. Il fine dell’incontro era di cercare di stimolare la riflessione sulle prassi didattiche che consentano a questo tipo di scuola di assicurare la propria identità culturale e formativa e, nel contempo, di fare propri i valori dell’innovazione. Si sta dunque cercando di porre le fondamenta del liceo classico del domani, per stare al passo coi tempi.

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