Esami di Stato o esami di maturità? Sono in corso da due settimane, si è giunti ormai all’ultima tornata di orali e potrebbe essere una domanda da porre nello “spazio” dedicato all’educazione civica. Sicuramente di “Stato” per legge e per contenuto, meno di “maturità”, tranne che per “maturità” non si intenda la capacità di affrontare una commissione di docenti e trattare al meglio gli argomenti studiati. Il che è davvero poco! C’è chi dice che siano la prima vera prova importante nella vita di un giovane e per questo la “maturità” c’entrerebbe; tuttavia spesso i nostri maturandi, prima del fatidico giorno, hanno già passato i test di ammissione all’università e i quiz per la patente, che non solo non sono da poco, ma per loro hanno un enorme valore per ciò che significano.
E poi si potrebbe parlare di quanti studiano contemporaneamente al conservatorio, fanno sport a livello agonistico, di chi calca i palcoscenici con platee più o meno importanti; forse che queste ultime non sono prove importanti già affrontate? C’è anche chi li paragona ai riti di iniziazione e di passaggio necessari per entrare nell’età adulta attraverso riti, cerimonie, l’allontanamento dal gruppo per un periodo, il superamento di difficoltà e di pericoli contando solo su sé stessi. In questo caso il pensiero va a quelle ragazze e a quei ragazzi che si confrontano con la sofferenza vera troppo presto per la loro età, e sono costretti a crescere improvvisamente senza alcun rito e senza essere preparati. E che dire della prova del fuoco unica nei mesi di lockdown?
Quindi, ora, la domanda iniziale dovrebbe essere “perché gli esami di Stato non sono esami di maturità”? E si potrebbe aggiungere “per quale motivo si punta tutto sui contenuti delle discipline o di alcune attività interne al contesto scolastico, lasciando quasi del tutto da parte il bagaglio culturale, sociale, esperienziale del maturando”?
Qualcuno risponderebbe “che c’entra con la scuola?” e ancora “la scuola deve verificare le competenze e il grado di preparazione, nient’altro”; altri che già esiste la valorizzazione tramite il credito formativo, che però si dà solo a determinate condizioni, previa consegna di attestazione scritta, nel rispetto di particolari criteri, e comunque consistente in una pagliuzza di punto rispetto all’insieme. È interessante e paradossale, ad esempio, che per il credito formativo lo studente debba produrre un attestato senza il quale, fosse anche un atleta già famoso e noto a tutti, non l’avrebbe e non varrebbero nulla coppe, medaglie d’oro, interviste a livello nazionale e internazionale!
E ancora: se fosse una straordinaria pittrice e i suoi quadri già apprezzati dalla critica e quotati, non essendoci chi (es. un ente, un’associazione, ecc.) possa rilasciare un certificato, il consiglio di classe sarebbe libero di non considerarla. “Sono casi quasi unici, particolari quelli citati”, qualcuno obietterà, aggiungendo: “E comunque la scuola non può sapere tutto quello che uno studente fa una volta fuori dalle aule”.
Il problema è sempre lo stesso, cioè voler tenere distanti e distinti la scuola dalla vita, rendendo le discipline asettiche, come se i contenuti fossero venuti giù dal cielo e non frutto di tutta l’esperienza umana di ieri e di oggi, e non solo del loro studio. Non è grave invece che la scuola non lo sappia, non si interessi o non sia un luogo in cui lo studente abbia il piacere di raccontarsi e la possibilità di mettere in pratica quanto vive all’esterno?
Anche qui immediatamente i puristi della didattica e gli scienziati delle competenze scolastiche alzerebbero gli scudi, eppure questa prospettiva non offende, né mette in secondo piano le discipline ed i loro contenuti, anzi si fonda proprio sul fatto che essi sono frutto della fatica e della dedizione di donne e uomini di ogni latitudine e longitudine, che hanno camminato su questa Terra, lottato per essa e persino dato la vita in tanti casi, hanno versato lacrime e sudore sui libri, nei laboratori, nelle biblioteche, sul campo, per lasciare un segno visibile e duraturo ai posteri; donne e uomini, non automi o robot, con una vita, una famiglia, delle amicizie, degli amori, forti e fragili, consapevoli e dubbiosi, poveri e ricchi, schiavi e liberi, credenti e non credenti. Forse il vero “esame di maturità” toccherebbe a tanti adulti, soprattutto a chi ha ruoli istituzionali, politici, nei quali si prendono decisioni significative per la collettività.
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