Entro in sala professori con alcune scatole in mano, aiutata da due studenti. Le scatole sono così tante che non riesco a portarle da sola. I colleghi mi guardano incuriositi. Non sono regali che ho ricevuto per Natale: sono i mie prossimi compiti da correggere, troppo voluminosi per infilarli nella borsa e portarli a casa, sto cercando un posto per appoggiarli temporaneamente.



Sperimentato durante il primo lockdown del 2020, ho riproposto quest’anno ai miei alunni di seconda media un lavoro che avevo suggerito nei primi mesi della Dad alla classe in cui allora insegnavo italiano.

La scuola era stata interrotta proprio quando ero in procinto di iniziare a leggere integralmente in classe un romanzo, ma le condizioni di allora non ci consentivano di procurarci tutti il libro che avevo indicato: le librerie e le biblioteche erano chiuse, e le varie difficoltà riscontrate nel procurarsi l’e-book mi avevano portato a cambiare strada e ad intraprendere quella della libertà e della fiducia. 



Tra i mille problemi di connessione, avevo chiesto ai miei studenti di scegliere loro stessi il libro da leggere, chiedendo consigli agli amici, ai familiari, cercando qualche recensione, esplorando la libreria di casa o i cataloghi online. Quando ho assegnato questo compito, qualcuno mi ha chiesto se avessero dovuto fare “una scheda libro”. Non mi aspettavo questa domanda, anche perché non è una tipologia di compito che amo particolarmente. Utile a catalogare il testo, ho l’impressione però che senza un adeguato accompagnamento rischi di ridurre la ricchezza di un romanzo entro confini statici e museali, senza che sia davvero messo in gioco l’io del lettore. Quando insegno e propongo delle letture in classe passo molto del mio tempo a preparare strumenti che affinino l’attenzione ed educhino lo sguardo: scrivo domande ed esercizi che guidino gli alunni e le alunne all’interno delle pieghe del testo, ascolto con interesse le osservazioni degli studenti, e al termine della lettura amo dedicare del tempo per la ripresa in classe, in lezioni dove il contributo di ciascuno fa cogliere a tutti (anche a me) elementi e particolari che sarebbero passati inosservati senza questo lavoro di scavo.



Quando al di là degli schermi tramite cui allora facevamo lezione i miei alunni mi hanno chiesto della scheda libro e io ho domandato il perché, mi sono sentita rispondere che gli poteva essere utile qualcosa per riprendere il romanzo e per presentarlo ai compagni, cosa che avevano particolarmente a cuore. Sollecitata da questa richiesta, ho preso spunto qua e là sulla rete e ho personalizzato per la mia classe un lavoro trovato su alcuni siti di scuole americane. 

Avevo in quel momento il desiderio di mantenere attaccati alla scuola i miei alunni, tenere desto l’interesse e promuovere il loro protagonismo nel processo di apprendimento, senza che semplicemente reperissero senza fatica una qualunque delle schede-libro già pronte e ormai diffusissime sul web. Avevo anche la preoccupazione e l’intento di non far rimanere i miei alunni connessi troppo a lungo, essendo già alle prese con videolezioni live, ricerche, video e compiti online. Ho preparato un tutorial e ho predisposto delle indicazioni che li aiutassero il più possibile ad addentrarsi nel libro che avevano scelto e allo stesso tempo a rimanere attivi.  

Ho chiesto loro di cercare in casa una scatola qualsiasi (di cereali, della pasta, del riso o di qualunque altra cosa fossero riusciti a procurarsi). Avrebbero dovuto aprirla lungo le linguette, rovesciarla e ricomporla per poterla decorare e potervi incollare o scrivere i testi che gli avrei chiesto di produrre. Dovevano progettare una copertina alternativa per il romanzo, con il titolo e il sottotitolo che avrebbero dato loro al libro; il disegno sarebbe stato inserito sulla faccia principale della scatola e avrebbe dovuto contenere tre simboli (oggetti, luoghi, personaggi) che rappresentassero a loro giudizio il romanzo. Su uno dei lati lunghi della scatola avrebbero dovuto scrivere i nomi dei personaggi più significativi, affiancati da aggettivi che li descrivevano e i luoghi in cui si svolgeva la vicenda sottolineandone l’importanza e dando ragione delle loro scelte; l’altro lato doveva riportare un riassunto in dieci righe e poi in sette parole, mentre nella parte alta della scatola dovevano essere presenti il titolo originale, il nome dell’autore e il giudizio che assegnavano al romanzo su una scala da una a cinque stelle. Sul retro, infine, avevo chiesto di inserire delle parole significative, una citazione che era loro particolarmente piaciuta e quello che ritenevano essere “l’ingrediente segreto” del libro. Avevo insomma pensato a delle richieste che avrebbero dovuto metterli all’opera, nella comprensione e nella rielaborazione del contenuto.

Ero stata sorpresa, in quei mesi di Dad, dall’entusiasmo e dalla creatività dei miei studenti. Sarebbero bastati i loro sguardi e le foto dei prodotti che mi avevano mandato per convincermi a riproporre in futuro questa attività. Ci sono però, dentro tale compito, alcune caratteristiche particolari che ho intravisto nella progettazione e che poi sono state confermate dalla sua realizzazione, e sono state il motivo per cui ho deciso di replicarlo anche quest’anno in presenza: innanzitutto è un compito che sviluppa le competenze disciplinari dell’italiano e di quella comunicativa ad ampio raggio, nelle sue componenti legate alla lettura, alla comprensione, alla sintesi, alla rielaborazione e alla produzione di un testo (dei testi, infatti, i miei studenti hanno dovuto stendere sulle loro scatole); inoltre ho potuto constatare come siano messi in gioco lo spirito di iniziativa, il problem solving, il pensiero critico e creativo, la capacità di imparare ad imparare, anche dai propri errori e tentativi. 

Non è da sottovalutare poi l’adesione alla materialità che tale compito ha chiesto ai miei alunni, che si sono trovati alle prese con la complessità di progettare e di portare avanti quello che avevano ideato, trovandosi a dover obbedire alle indicazioni che avevo fornito e allo stesso tempo ai materiali che maneggiavano: nel dilagare delle virtuale e dell’uso delle tecnologie informatiche (utili e fondamentali per il contributo positivo che apportano, anche all’apprendimento), l’avere a che fare con qualcosa di concreto e l’imparare facendo è a mio parere un punto irrinunciabile per qualunque disciplina nella fascia d’età della scuola secondaria di primo grado. 

Un ulteriore punto di forza è legato all’intreccio degli ambiti disciplinari in cui i miei studenti hanno dovuto muoversi per realizzare il prodotto finito: è stato un lavoro che ha coinvolto diverse conoscenze e competenze, che si sono trovate a interagire e collaborare. Da ultimo (ma non per importanza) un’attività di questo tipo ha suggerito una strada nuova alla mia professione, aprendo l’intuizione di una didattica che sia, per sua natura, inclusiva: la tipologia della consegna ha consentito infatti ad ogni studente di personalizzare il proprio lavoro, realizzando un prodotto in cui ognuno (al livello e al punto in cui si trova nel suo percorso) ha potuto esprimere compiutamente sé mettendosi in gioco e alla prova.

La sorpresa di quei mesi di Dad si è ripetuta questo dicembre quando, in presenza, ho deciso di far svolgere in classe e a gruppi lo stesso compito sul libro a scelta letto durante l’estate. Sono state ore bellissime, dove ognuno ha messo in gioco sé e la sua creatività, inserendo anche nelle scatole – in aggiunta alle mie richieste – dei giochi a tema sul romanzo, e in cui si è vista l’unità e la collaborazione con i compagni con cui condividevano lo stesso romanzo e la stessa scatola.

In un testo che ho fatto scrivere a chiusura dei progetti, sono stati gli studenti stessi a dire che ciò che gli è piaciuto di più è stato il fatto che fosse un lavoro creativo e interessante, e che li ha aiutati a soffermarsi su ogni parte del libro e comprenderlo meglio, anche nella presentazione ai compagni del loro prodotto.

Non sono regali di Natale quelle scatole che ho portato in sala professori, erano semplicemente i miei compiti da “correggere”. A ben vedere, però, lo sono: sono i miei regali più preziosi per questo Natale, perché non c’è cosa più bella per un insegnante che scorgere, nell’io delle studentesse e degli studenti a cui propone un’attività didattica, un punto di luce che si muove in loro e realizza qualcosa che è sempre più grande di quanto si possa prevedere o immaginare.

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