Caro direttore,
alcuni (sottoscritto incluso) si lamentano per l’assenza di un serio dibattito pubblico sulla scuola italiana. Ma è probabile che tale mancanza sia in realtà un bene, a giudicare da quanto scritto recentemente su merito, smartphone e occupazioni degli istituti.
La discussione sul concetto di “merito”, scatenata dalla denominazione assunta dal ministero di Giuseppe Valditara, è stata così pietosa da rendere indigesto anche il solo riassumerla. “Il termine deriva dal verbo latino merere, eccetera”. Siamo tutti grandi esperti di etimologia, oltre che di educazione! Naturalmente non sono mancate le voci autorevoli, anche su queste pagine, ma in generale non c’è stato modo di porre al centro con efficacia la vera questione: come far emergere i meritevoli (tra studenti, docenti e magari anche dirigenti scolastici)? Che poi questo venga contrapposto al diritto allo studio per tutti, è veramente fantascientifico!
Meglio passare agli smartphone? Bah… A parte il fatto che anche i più acuti commentatori faticano a districarsi tra le infinite leggi e leggine della scuola, anche in questo caso i punti basilari sembrano sfuggire ai più. I nostri istituti sono luoghi in cui le regole sono chiare a tutti nella formulazione e nello scopo? Esiste un numero consistente di adulti autorevoli che possano rispettarle e farle rispettare? In quante aule si può effettivamente utilizzare la tecnologia in maniera efficace e senza disturbare le classi vicine? Chiunque abbia una minima conoscenza degli ambienti scolastici dovrebbe essere in grado di rispondere, ma sembra tacere in tutte le lingue che conosce.
Infine, le “mitologiche” occupazioni. Ecco: in questo caso il dialogo proprio non è mai esistito. Attenzione: non si intende qui la mera interazione tra alunni e docenti. Il fatto è che non c’è proprio alcun serio confronto tra le parti coinvolte (genitori, forze dell’ordine e mezzi di comunicazione inclusi).
Neanche Socrate e Platone, forse, riuscirebbero nell’intento.
Una minoranza dei ragazzi occupa la scuola. Dirigenti e docenti se ne stupiscono. A prescindere dall’eventuale denuncia, le istituzioni non fanno assolutamente nulla (nella maggior parte dei casi). L’opinione pubblica a volte nemmeno se ne accorge. Al massimo qualche “pontefice laico” offre la sua riflessione critica, molto critica nei confronti della società, poco verso gli studenti. Poi arrivano le feste, i panettoni, i regali e tutti tornano a casa, in attesa della prossima “sagra” autunnale.
Vuoto pneumatico di idee e di fatti.
Probabilmente è meglio smettere di auspicare discussioni pubbliche e affidarsi alle perle di saggezza di grandi pedagoghi come Diego Abatantuono, che in un’intervista al Corriere del 5 novembre scorso ha osservato: “Credo anche che la nostra generazione nel dopoguerra si sia focalizzata troppo sul foglio di carta, sul fatto che i figli non dovevano fare la fatica che hanno fatto i genitori. Si sono messi tutti a studiare, anche chi non era portato… e così nel frattempo abbiamo anche perso grandi falegnami, grandi idraulici…”.
Ci vuole così tanto per capire certe cose?
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