Non possiamo più far finta di niente: è finita un’epoca, anzi si è proprio sgretolata. Il Covid, prima, ha mandato in frantumi l’idea di un sistema sanitario imbattibile, capace di garantire a tutti, salvo imprevisti, un’età media di 80-82 anni. L’invasione dell’Ucraina e la guerra in Medio Oriente, poi, hanno fatto saltare in aria la nostra certezza della pace perpetua in Europa e nell’estero vicino.
Abbiamo scoperto, così, la nostra vulnerabilità al cigno nero (Taleb) e la nostra debolezza di fronte al cattivo di turno e agli speculatori guerrafondai. Le incertezze poi si accrescono quando guardiamo alle élites che guidano il Paese. Si passa dal leader che, sconsideratamente, ha accresciuto il debito pubblico con superbonus e paghette senza migliorare la competitività, alla responsabile di partito che sembra uscita, scura in volto, da una manifestazione non bene organizzata dalla sua stessa dirigenza. Che dire poi dei circoli nascosti e lobbistici del tutto asserviti ai desiderata stranieri o degli intellettuali affascinati dal politicamente corretto, pronti a scatenare una guerra culturale se una donna viene chiamata “sindaco” e non “sindaca”? Eroi da salotto con idee di cartone. Inadeguati al cambiamento d’epoca.
E la scuola come vive la frattura di un’epoca? Nulla, non è successo nulla. Da Nord a Sud tutto come prima. È andato “tutto bene”, proprio come dicevano alcune maestre con le frasi fatte da film americano di Netflix. Si prospettano, solo per evitare danni, nuove educazioni in base alle emergenze emotive (stradale, alimentare, alle immagini, delle relazioni e quant’altro). I gravi fatti di cronaca dettano l’agenda. Si sa: la scuola è un contenitore per lenire le ansie dei genitori e non per prospettare un futuro carico di speranza. Perciò avanti tutta, come se nulla fosse. Una preside aggredita, una docente accoltellata e ancora altri attacchi: costi generici da pagare ai tempi.
E i ragazzi? Telefonino iper-costoso già alla fine delle elementari: ovvio, i lupi cattivi sono in ogni luogo. Poi, precocizzazione sessuale degli adolescenti, grazie alla benpensante dogmatica progressista. Meglio dare la pillola a quattordici anni e sapere con chi lo fa. In caso di imprevisti, per le minorenni, comunque, c’è sempre la pillola del giorno dopo. Tutto subito, insomma, senza poesia e, soprattutto, senza fatica. L’ uso di droghe per i ragazzi delle superiori, poi, non è un problema, visto che molti politici si vantano pubblicamente di trasgressioni che, peraltro, non impressionano più.
Ciò che conta, comunque, per tutti, è il proprio corpo e l’istante effimero. Perciò muscoli bene in vista e tutti palestrati. Ombelico di fuori e abbigliamento improbabile.
La generazione dell’impegno è finita da un pezzo. Dieci anni fa si trovavano ancora a scuola alunni al lavoro con Libera di don Ciotti o ragazzi attivi nella banda del paese. C’era anche qualcuno in oratorio o a fare volontariato in Croce Rossa. Ora tutti su TikTok o pronti a rischiare, ma per un selfie estremo. Oppure intenti a chattare, non su pensieri deboli ma su fotogrammi mentali transitori che non diventeranno mai idee o fatti. Secrezioni mentali frutto dell’assenza di pensiero critico, mai attivato dal votificio scolastico.
Dal quadro sconsolante nascono delle domande. Questi giovani sarebbero in grado di difendersi da un aggressore o difendere la patria? Alcuni, in verità, danno l’impressione nonostante il fisico potente e ben curato di essere pronti a scappare al primo mortaretto. Resi divaniformi dalle serie tv e da genitori che non dicono mai no, vorrebbero vivere come i loro familiari una sorta di giovanilismo eterno. Che non si parli poi di difesa civile o dei deboli. E nemmeno di Protezione civile: non contrarietà precostituita, ma troppo sbattimento. Il retaggio della civiltà cristiana, poi, è stato superato dai più svariati diritti individuali e da quelli degli animali, pitbull compresi.
Ci sono dei vincitori alla roulette del nulla: l’agenda dem americana e il potere occulto degli illuminati. Il Partito del Bene, così, impone nuove libertà buie e oscure: quella del suicidio assistito, dell’utero in affitto, dell’eutanasia, dell’aborto senza rispetto dell’obiezione di coscienza. In cambio, la lobby buonista propone un finto avere per tutti, intervallato da spot pubblicitari. Nell’ottica dei Peter Pan, poi, la parola “dovere” non compare mai.
Però la vita è ostinata e al partito radicale di massa di delnociana memoria, ora, chiede il conto. La generazione che ha prodotto tutto questo con il mantra del nichilismo gaio è arrivata al capolinea. La dimensione narcisistica di chi vive nella sua bolla sta collassando. Le discussioni tutte fatte di “ho mangiato, sono stato, ho visto” non bastano più al cospetto della realtà che morde. Perciò, di fronte alla drammatica situazione educativa in atto e alle gravi sfide storiche, sono necessari cambiamenti strutturali.
Il primo è che i nostri studenti vedano e conoscano uomini. La generazione dei genitori cinquantenni, in via generale, non ha capito che non è la stessa cosa essere Falcone e Borsellino o essere, invece, un accumulatore di soldi fine a sé stesso o un mero elargitore di paghette per sbronza cumulativa. Non è sullo stesso piano servire con onore e in silenzio lo Stato come medico o insegnante o militare, oppure andare con idee improbabili e look da drag queen a Sanremo applauditi da persone e mondi di plastica.
Le vittime del dovere, poco ricordate, non hanno pensato al loro piccolo interesse o ad avere una comparsata in televisione. Hanno servito un bene superiore che tutti siamo chiamati a guardare. È grazie a loro che viviamo nella libertà e nella tranquillità dell’ordine.
È importante, allora, che al ministero e nelle scuole si tenga conto di due libri da poco usciti, quelli di Ernesto Galli della Loggia e Loredana Perla, Insegnare l’Italia (Morcelliana-Scholé 2023) e Vittorio Emanuele Parsi, Madre patria. Un’idea per una nazione di orfani (Bompiani 2023). I due testi, in modo brillante e argomentato, rimettono in gioco l’importanza di ripensare al positivo che ha tessuto le vite dei nostri padri e dell’essere pronti a custodirlo con serietà e verità.
Non bisogna, allora, dimenticare più nel lavoro a scuola la fin troppo trascurata filosofia italiana che va da Bonaventura a Tommaso, passando per Vico, Rosmini, Galluppi, Gentile e Del Noce. Quante volte le mode balzane nelle nostre scuole hanno oscurato “il pensiero vivente” (Roberto Esposito) che ha dato origine alla differenza italiana? Quanti docenti, poi, hanno ignorato nei loro programmi Dante e Manzoni, per parlare di futili problemi nati nei salotti e negli attici del declino italiano? Il sentiero interrotto della via italiana, dunque, va riaperto e attualizzato, alla luce delle nuove sfide.
Insomma, per cercare di risanare le ferite di un’epoca che affronta con stoltezza la drammaticità storica, bisogna ripartire, soprattutto a scuola, dai viventi: testi e persone. La loro esperienza vitale può contribuire a ridisegnare e rinnovare la scuola italiana, oltrepassando la sterile omologazione culturale radical chic. Si può affrontare un periodo storico inedito solo con un’educazione all’altezza.
È tempo di risorgimento dell’io, per tutti.
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