In questo periodo sono state pubblicate sui quotidiani diverse notizie che riguardano delle vere e proprie “rivolte” di docenti. Accusano i propri dirigenti di usare il loro ruolo in modo autoritario.
A Torino, contro la preside dell’Istituto “Colombatto”, i docenti lamentano: “Considera la scuola una sua proprietà” e organizzano un presidio di protesta davanti all’ufficio scolastico regionale. Sempre a dicembre “La tecnica della scuola” parla di genitori e docenti di un liceo firmatari di una lettera che indica “un clima di tensione e malumore che coinvolge personale scolastico, studenti e genitori”. Diversi studenti hanno già abbandonato la scuola, ma chi dirige “non ha ancora cercato un dialogo per comprendere le difficoltà segnalate o prevenire ulteriori abbandoni”. Sulla stessa linea, il Corriere Adriatico di Ancona riporta in prima pagina di una lettera di protesta di genitori e docenti inviata all’Ufficio scolastico delle Marche. Nel mirino ci sarebbe la gestione degli affari interni, compresa quella del personale e delle mansioni assegnate. Spostamenti dovuti, a detta dei prof, più che a necessità o esigenze reali, a ripicche e dispetti del dirigente scolastico.
Certamente quello di un’evidente crisi della funzione dirigenziale non è un tema esclusivo della scuola. Lo stiamo osservando nel mondo dell’impresa, delle istituzioni pubbliche, in generale, ma anche nelle società sportive.
Ultimamente è uscito anche un saggio di Massimo Recalcati, edito da Feltrinelli, dal titolo Il vuoto e il fuoco. Per una clinica psicoanalitica delle organizzazioni, in cui si mette in luce proprio l’importanza delle relazioni all’interno delle istituzioni e degli ambienti di lavoro. In particolare vi si parla del ruolo “di testimonianza” che dovrebbe rivestire chi, al vertice, coordina e guida tali relazioni.
Non è facile cogliere le cause più profonde di tali difficoltà. Evidentemente però i fatti che stanno accadendo ci spingono a porci la questione con più forza e urgenza che nel passato. Possiamo porre sul piatto tale questione ed aprire un confronto che ci porti a considerarla ed affrontarla con più elementi.
A mio parere, la questione fondamentale sta nell’impossibilità di distinguere il ruolo ricoperto dalle caratteristiche umane del soggetto che riveste tale ruolo. Lancio qui una provocazione. Siamo giustamente tanto entusiasti del fatto che siano state riconosciute da un disegno di legge le soft e life skills per gli studenti, quelle capacità che ci permettono di relazionarci con gli altri, di gestire le emozioni, risolvere problemi o adattarci ai cambiamenti. Queste caratteristiche vanno decisamente valutate, insieme al mondo delle conoscenze e delle nozioni assunte da un giovane. E per gli adulti che devono essere abilitati a ruoli apicali? Tali competenze dovrebbero essere verificate soprattutto in loro, in chi si candida a posti da dirigente. In realtà oggi per superare i concorsi servono solo tantissime nozioni di giurisprudenza ed essere dei maghi della burocrazia. Punto. Ma il soggetto – la sua capacità umana, il suo equilibrio – chi lo valuta?
Un altro spunto (sono soltanto dei flash, sarebbe veramente interessante aprire una discussione che coinvolga più opinionisti): una volta vinto il posto da dirigente scolastico, con chi vive un reale confronto il nuovo capo di istituto? L’esperienza ci dice che nel 99% dei casi il dirigente è solo al comando. Se vive dei rapporti, per la maggior parte dei casi, si tratta di mansioni assegnate a docenti che la pensano come lui e che solitamente eseguono i suoi ordini. Invece proprio il contrario dovrebbe essere: vicari e collaboratori di chi guida sarebbe opportuno sceglierli tra chi ha impostazioni e visioni differenti dal dirigente. Ciò che realmente giova in una organizzazione scolastica è il confronto reale con ciò che mette in discussione le proprie idee, ciò che le critica e le apre a nuovi orizzonti. Ma che umiltà occorre per vivere un tale atteggiamento!
Sarebbe interessante avere un dialogo e offrire testimonianze di dirigenti (e ce ne sono) della scuola pubblica che hanno smesso di fare del loro istituto il luogo su cui piantare le bandierine delle proprie idee e progetti, interessati invece a osservare e imparare da ciò che accade, dai fatti che si vivono in classe o in sala prof, dalle esigenze e dalle osservazioni che a loro giungono da genitori e personale della scuola.
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