“La scuola è a pezzi, è un ambiente letteralmente impraticabile, quasi inconcepibile” (Alfonso Berardinelli, Il Foglio, 7 novembre 2019). È questa la conclusione sintetica che si trae dalla lettura di L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola (Marsilio, 2019) di Ernesto Galli della Loggia. Come questo sia potuto accadere è descritto piuttosto accuratamente nelle pagine del volume.



Sorge spontanea la domanda: perché non se ne parla ogni giorno nei Tg? “Il paese pensa che la scuola non serva” e “l’opinione pubblica [è] disinteressata alle cose della cultura e dell’istruzione” spiega lo stesso Galli della Loggia. La politica è contenta della situazione: dalla “scuola democratica e moderna” descritta nel libro non verranno mai contestazioni; la scuola che non boccia e si limita ad assorbire i precari è una manna!



Si può sommessamente aggiungere che i docenti sono storditi e frustrati (ne esistono senz’altro di buoni, ma lavorano a testa bassa e forse non si rendono conto del disastro circostante). Colpisce inoltre l’afonia dei genitori, perché almeno loro dovrebbero avere a cuore la vita dei propri figli. Se non i genitori degli alunni di oggi, almeno quelli i cui figli hanno finito già da un po’ di tempo il ciclo di studi dovrebbero essersi accorti della situazione.

Secondo Galli della Loggia da qualche anno a questa parte i giovani vivono in un clima di rifiuto della razionalità e nell’illusione dell’irresponsabilità; accampano diritti su tutto e a tutto (all’espressione spontanea, al successo formativo, a internet…); esprimono “una miscela singolare di moralismo e di materialismo storico che la dice lunga sulla direzione in cui da anni spira il vento dell’egemonia culturale nel nostro paese”. Forse, sulla questione dei genitori, ha già scritto quello che c’era da scrivere Eraldo Affinati nel suo Elogio del ripetente: “Hanno le facce stanche, l’aria indifferente, lo sguardo spento”. E quando sono agguerriti, verrebbe da dire, lo sono contro il bersaglio sbagliato (non toccate “il mio bambino”!).



Tornando al volume di Galli della Loggia, bisogna dire che è un testo necessario, non solo perché rompe il silenzio intorno alla scuola con argomenti quantomeno degni di considerazione. Se si può probabilmente mettere in discussione l’affermazione ivi contenuta secondo cui è l’istruzione di per sé a far crescere l’autonomia del soggetto e insieme la libertà della vita pubblica, dalle pagine “distruttive” del libro emerge comunque, per contrasto, un’idea chiara di quello che la cultura dovrebbe essere e non è più.

La cultura è “la possibilità per ognuno di noi di uscire dalla propria particolarità e di mettersi in relazione con il mondo passato e presente… raggiungendo una pienezza di vita altrimenti impossibile”. In particolare le materie umanistiche, inutili, portano a guardare verso l’altro, non prevedono esperimenti ma si fondano sulla capacità di stabilire nessi argomentativi o analogici tra elementi già noti, contribuendo così, fra l’altro, a “strutturare la soggettività dell’individuo, arricchendola, dandole molteplicità di contenuti, contraddizioni, spessore”, fino a permettere di sviluppare “la consapevolezza del significato generale del posto che ognuno occupa nello spazio e nel tempo”. Il libro di carta, poi, è uno strumento importantissimo, che implica concentrazione, attenzione e impegno personali. In una parola: fatica. Non sembra di sentir parlare un marziano?

L’aula vuota è stato accusato di superficialità. In realtà descrive sinteticamente ma efficacemente l’essenziale di ciò che significa insegnare. È necessario un professore che conosca bene ciò che insegna e che sia appassionato, che comunichi “il senso palpitante di un passato, il senso di una vicenda collettiva di cui in qualche modo si era parte”, che non faccia sconti sullo studio a casa, che non sia troppo ammaliato dalla rivoluzione digitale, soprattutto che non neghi “la misteriosa capacità di ogni individuo di cambiare, la sua poliedrica versatilità”.

In una nota a pagina 142, poi, il capolavoro: si impara anche non capendo (immediatamente)! Mentre i pedagogisti avranno senz’altro un infarto, era necessario che finalmente qualcuno lo scrivesse, al termine di un cupo decennio.