“Pensavo che la vita degli uomini fosse simile a un grande corteo e che la Sorte guidasse e ordinasse ogni cosa, facendo indossare maschere differenti e variopinte ai partecipanti: avendo, infatti, preso uno per caso, lo fece vestire da maturando, avendogli attribuito un programma e assegnato una scorta di compagni per ascoltarlo, invece a un altro assegnò il ruolo di professore di commissione….”.



Così in una versione di greco assegnata nella maturità del 1990 scriveva Luciano di Samosata, intellettuale della Seconda Sofistica, brillante conferenziere, apprezzato “polemista”, che spesso era in tournée per il vasto Impero Romano nel II secolo d.C.; e così traduceva il maturando, nei giorni scorsi. Il testo è provocatoriamente spurio con integrazioni personali, per commentare la maturità al tempo del Coronavirus, che si è recentemente conclusa. Senza grossi intoppi, in presenza, come prova generale del rientro a scuola a settembre.



Certo tale maturità così confezionata è stata una necessità, avvertita da moltissimi, per non sottrarre i giovani virgulti a ciò che è diventato un vero e proprio rito di iniziazione.

Qualcuno afferma che la maturità non sia più un esame di Stato, ma una vera cerimonia – un po’ come il corteo di Luciano – fatta ad uso e consumo di chi intenda festeggiare la fine di un percorso secondario (di primo e poi di secondo grado, si intende, in riferimento alla nomenclatura del gergo burocratese). “Gli esami sono vicini”, cantava Venditti in Notte prima degli esami, “E tu sei troppo lontana dalla mia stanza/ Tuo padre sembra Dante e tuo fratello Ariosto/ Stasera al solito posto, la luna sembra strana/ Sarà che non ti vedo da una settimana”.



L’amore era forte, disorientante, obnubilando la mente del maturando che studiava – seriamente – le varie discipline: allora, in questa estasi di “amor che ne la mente mi ragiona” e che “amor che nullo amato amar perdona”, la metamorfosi avveniva compiutamente nel padre-Dante e fratello-Ariosto. A cosa si sono ridotte, invece, le prove della maturità negli ultimi due anni?

Nella migliore delle intenzioni, il professor Serianni, a capo della commissione che ha elaborato la riforma dello scritto di italiano, dichiarava in una intervista a Repubblica: “Il deficit principale non è l’ortografia, come si ritiene comunemente al di fuori dalla scuola. Il problema nei ragazzi è la violazione della coerenza testuale, l’incapacità di argomentare e di capire cosa si legge. Il nostro è un tentativo di porvi rimedio. L’idea di fondo è insistere su una prova che valorizzi la capacità di istituire un ragionamento, di dedurre conseguenze da premesse. E soprattutto di aumentare la competenza nella comprensione di un testo, dunque della realtà”.

Questa nobile intenzione cozza, tuttavia – chiedo il beneficio degli errori che sono sempre insiti nelle generalizzazioni – con la prassi scolastica nelle nostre aule e con i risultati conseguiti al termine del percorso scolastico. Sempre di più le università organizzano per le matricole laboratori di lingua e scrittura italiana oppure “corsi di recupero”, sempre di italiano, denominati appunto Obblighi formativi aggiuntivi (Ofa). Allora non sarebbe bene andare a ritroso e rifondare l’insegnamento della lingua italiana da quando si inizia a scrivere in prima elementare i primi benedetti “pensierini”?

Passiamo ai numeri. Le prove nazionali Invalsi sono diventate necessarie per essere ammessi alla maturità, ma quest’anno fa eccezione: contro il Covid nulla ha potuto neppure l’Invalsi. Secondo i dati del Miur, nel 2019 si registrava un aumento dei diplomati con 100 e lode: erano l’1,6%, nell’anno precedente erano stati l’1,3%. Le lodi aumentavano nel 2019, con la Campania con il più alto numero assoluto di diplomati con lode (1.287), seguita da Puglia (1.225) e Sicilia (817). Un Sud dello Stivale fatto di “superbravi”, con però meno contagiati da Coronavirus. Vedremo i dati nuovi con la maturità “light”, confezionata per l’emergenza sanitaria.

Lo scorso anno è stata la maturità “Lascia o raddoppia?”, con le mitiche buste, oggetto degli incubi dei docenti, incapaci di metabolizzare un repentino cambiamento della modalità dello svolgimento della prova orale, imposta dal ministro Bussetti appena tre mesi prima di giugno. Nel gennaio 2020, la ministra Azzolina disse a margine di un convegno: “Stiamo lavorando: non ci saranno grandi cambiamenti, gli studenti devono avere la serenità di affrontare gli esami; non ho intenzione di grandi stravolgimenti. Le buste all’orale non ci saranno, la storia agli scritti ci sarà assolutamente, le materie usciranno a breve, siamo al lavoro”.

Poi venne la pandemia. Almeno il Coronavirus ha risparmiato all’Italia l’ennesima “riforma” dell’esame di Stato ad opera del ministro di turno. Possiamo veramente stare sereni, per ora. La maturità è finita con un boom di 100…in tutta Italia.