Quando pensiamo alla nostra esperienza scolastica, tra i ricordi che fanno capolino non mancano mai i voti: alti o bassi, temuti e fonte di delusioni e soddisfazioni, i numeri dall’uno al dieci sono parte integrante dell’idea di scuola che ci portiamo dentro. Ma si può immaginare una scuola senza voti? In effetti, nel mondo della scuola italiana non mancano le esperienze – di norma sperimentali – di abbandono magari temporaneo del voto in favore di una valutazione differente. Si tratta di tentativi legati soprattutto alla scuola primaria, dove pare più naturale privilegiare un approccio più morbido alla valutazione. Oltre confine, esemplare è il caso della Svezia: nelle scuole del paese scandinavo, infatti, il voto compare a partire dalla classe sesta. Nei primi cinque anni, corrispondenti alla nostra primaria, sono sostituiti da descrittori qualitativi volti a ricostruire il percorso di apprendimento dell’alunno.



Non è detto, tuttavia, che esperienze di questo tipo debbano essere circoscritte solo ai primi anni di scolarizzazione. Un libro di recente pubblicazione, La classe senza voto (nei “Quaderni della Ricerca” di Loescher Editore), ricostruisce una sperimentazione realizzata dal Liceo “Vincenzo Monti” di Cesena. Autori del volume Simone Romagnoli, professore a contratto presso il dipartimento di psicologia dell’Università di Bologna, e Sonia Bacchi, docente di lettere del “Monti”.



L’esperienza descritta nel volume è stata condotta nell’anno scolastico 2016-17 in una classe prima del Liceo delle scienze umane, e ha previsto la sostituzione delle tradizionali valutazioni in decimi con griglie articolate per competenze. La decisione di avviare la sperimentazione è nata a partire da una riflessione sugli elementi di benessere e di stress che caratterizzano l’esperienza degli studenti nella scuola. Promuovere il benessere nella scuola significa creare le migliori condizioni per consentire a ogni studente di raggiungere appieno il proprio potenziale, in un percorso di apprendimento e di sviluppo personale caratterizzato da autonomia e responsabilità. 



I docenti del “Monti”, assieme ad alcuni ricercatori universitari, hanno individuato nel voto numerico un elemento che limita il benessere degli studenti, esercitando un’influenza negativa sulla performance scolastica. In pratica, il voto invece di incentivare l’impegno degli studenti – come comunemente si ritiene – ne limiterebbe gli apprendimenti: un’ipotesi che trova numerose conferme nella campo della ricerca psicologica. L’attesa del voto numerico, infatti, produrrebbe negli studenti un senso di minaccia che si traduce in ansia da prestazione, paura di fallire, tensione con genitori e docenti, tendenza a identificarsi con un numero. In ultima analisi, invece di motivare all’applicazione e all’impegno come ci si aspetterebbe, i voti distoglierebbero energie dal compito che lo studente è chiamato a svolgere, perché lo spingono a concentrarsi sull’esito della prova e non sull’apprendimento, che è invece il fine reale dell’impegno di studio.

Un altro punto debole del voto numerico su cui si è concentrata l’attenzione dei docenti del “Monti” è il suo non essere esplicativo: il voto manca, cioè, della capacità di chiarire le motivazioni che hanno generato la valutazione, tanto che possono essere assegnati voti identici a prove che tuttavia rappresentano punti di forza e di debolezza in differenti processi ed esiti di apprendimento profondamente diversi.

Partendo da queste considerazioni, ricercatori universitari e docenti del “Monti” hanno deciso di sperimentare la sostituzione del voto numerico con una valutazione per competenze: per ogni prova di verifica, scritta e orale, i docenti hanno individuato le competenze oggetto di verifica, costruendo griglie di valutazione coerenti. Per ogni voce della griglia, il docente avrebbe poi indicato se la competenza era stata acquisita (A), parzialmente acquisita (PA) o non ancora acquisita (NAA): una scala con tre sole alternative che, quindi, non poteva essere trasformata dagli studenti nei voti in decimali.

Si tratta quindi di una valutazione non interpretata come fase finale del processo di apprendimento, bensì come momento formativo a tutto tondo, quindi parte integrale del percorso di costruzione di nuove conoscenze, abilità e competenze. Fondamentale è dunque il richiamo alla dimensione autovalutativa: se infatti nella didattica tradizionale la valutazione era una prerogativa esclusiva del docente, e in qualche modo anche un elemento del suo potere sullo studente, nell’impostazione qui rappresentata la trasparenza della valutazione crea le condizioni perché lo studente sia incoraggiato a riflettere sui diversi aspetti del suo apprendimento e sia portato ad autovalutarsi. Il soggetto valutato diviene quindi egli stesso parte attiva e imprescindibile dell’azione valutativa.

Ma cosa ne pensano gli studenti? Uno degli aspetti più interessanti della sperimentazione riguarda proprio le reazioni delle ragazze e dei ragazzi coinvolti. Il passaggio dalla tradizionale valutazione numerica a una valutazione per competenze, infatti, non è affatto immediato per chi dall’inizio della propria carriera scolastica è stato abituato a vedersi assegnato un voto per ogni performance. L’immediata tendenza è quella di cercare di “tradurre” le valutazioni per competenze in voti numerici e i docenti hanno dovuto accompagnare gli studenti alla comprensione della mutata prospettiva: è stato quindi necessario spiegare il passaggio da una valutazione che misura a una valutazione che forma, in cui la centralità non sta più nell’attestare l’acquisizione di determinate conoscenze e abilità, bensì nel descrivere competenze, ovvero il saper mettere in pratica conoscenze e abilità nelle situazioni proposte.

L’esperienza del “Monti”, proprio perché articolata e non priva di chiaroscuri ed elementi da valutare e perfezionare, è certamente indicativa di una linea di riflessione e ricerca che merita di essere ripresa e approfondita. Certamente è fondamentale riportare l’apprendimento scolastico a motivazioni per così dire non minacciose, che rischiano di impattare negativamente sulla motivazione ad apprendere degli studenti, se si punta a innalzare gli esiti di apprendimento e abbattere le possibili ragioni di distacco dalla scuola che, non di rado, caratterizzano il percorso di alunni e studenti.