C’era una volta la scuola… Lo so, non è un inizio proprio originale, specie in concomitanza col termine delle lezioni, ma cosa volete farci: sono recidivo e non me ne pento. Anzi, ringrazio chi mi ha fatto notare che qualche giorno fa i mass media, riportando la notizia della visita di cortesia del presidente Sergio Mattarella ad una scuola primaria romana, hanno glissato tutti insieme su un particolare: il nome dell’istituto. Lontanissimi i tempi in cui andavano per la maggiore gli eroi del Risorgimento, quelli delle patrie lettere, di altre arti o di discipline scientifiche, lontani quelli di chi è morto combattendo in una delle due guerre mondiali, chiuso anche il discorso su date o eventi storici (e non parliamo di personaggi che hanno avuto a che fare col cristianesimo), per la scuola di largo Bignotti a Roma è stato scelto “Geronimo Stilton”, che del resto fa parte dell’istituto comprensivo “Fiume Giallo”.



Sappiamo che in questi giorni è in corso un referendum per cambiare almeno quest’ultima denominazione (in lizza la poetessa Alda Merini, la disegnatrice ed editrice Tea Bonelli e la fisica illuminista Laura Bassi) e nulla, proprio nulla abbiamo contro l’arguto topo-intellettuale che, come direttore dell’Eco del Roditore, ha fatto innamorare alla lettura milioni di ragazzini in tutto il mondo.



Certo, però, un’idea rode (è il caso di dire) in testa: com’è che, in 160 anni di scuola italiana, si è passati dai Grandi della Storia ai personaggi della letteratura per l’infanzia? E che dire di quegli istituti (ne esistono, chissà perché, soprattutto nelle maggiori città) che un nome nemmeno l’hanno, limitandosi ad un numero progressivo – per quanto perlopiù scritto in numeri romani – alla maniera delle dittature di ogni colore o, per le realtà urbane più piccole, al solo indirizzo di studi?

Quisquilie, si dirà con Totò, dabbenaggini, pinzillacchere. Non ne sono convinto. Anche qui, nulla di personale: parto dal presupposto che l’educazione e la didattica funzionino in quelle scuole a meraviglia. Il punto è un altro: perché si è passati da Manzoni (e non da Renzo e Lucia, per esempio) o da Pascoli (e non dalla Cavallina Storna) o da Puccini (e non da Mimì) al Fiume Giallo e a Geronimo Stilton, ignorando a piè pari anche la sua creatrice, Elisabetta Dami? Mancanza di fantasia (al contrario: direi troppa), carenza di figure illustri, voglia di voltare pagina o che altro?



Un’idea ce l’ho e, visto che siamo fra noi e che sopra ci ho scritto un libro e decine di articoli, ve la butto lì: in un sistema scolastico sempre più svuotato di conoscenze (abbiamo iniziato nel ’68 cancellando le date, paradigma dello studio puramente mnemonico, abbiamo finito col cancellare anche i fatti, i concetti, le idee) in nome della “scuola del fare”, pragmatica, concreta, sempre più abbracciata alle esigenze materialiste del mercato del lavoro, per la Cultura ed i suoi “fari” non c’è più spazio nemmeno quando si tratta di intitolare un plesso scolastico. Tant’è che un Galilei, un Leonardo o anche un Rodari (scrittore per ragazzi, ma non solo) valgono tanto quanto un personaggio d’invenzione o forse meno. Importante è regalare un’immagine di freschezza, leggerezza, disimpegno, giocosità di contro all’altra che abbina storia, letteratura, scienza alla fatica, alla serietà, al lavoro.

La faccio esagerata? Lo ammetto, forse un po’ sì, ma a volte si impara più dai segni che da quello che nascondono. “Mi chiamo Geronimo, Geronimo Stilton…” pare suoni molto meglio di “Mi chiamo Alessandro, Alessandro Manzoni”.

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