Non so se, come dice il ministro Valditara, nelle scuole italiane ci voglia lo psicologo.
Lo sapremo fra poco, perché il ministro ha annunciato che sull’argomento è al lavoro una task force. L’ennesima, formata dai soliti “esperti del giorno dopo”, che di scuola, educazione e lavoro degli insegnanti ne sanno pochissimo o quasi niente. Forse ci vuole lo psicologo a scuola; sicuramente ci vuole un ottimo psichiatra per i dirigenti ed esperti ministeriali. C’è bisogno di una rivoluzione nel campo dell’istruzione che parta proprio dalla sempre più drammatica “emergenza educativa”, ma che l’elefantiaca macchina ministeriale non riesce proprio ad affrontare. Possibile che dal disastro educativo non si scenda mai alla radice del problema? Da alcune settimane il quotidiano La Stampa ospita un’inchiesta di Elena Stancanelli su “Giovani e salute mentale”. È un “dolore evolutivo” la nuova “malattia” che attanaglia gli adolescenti nella società post-narcisistica, dove essi si sentono vuoti e mai all’altezza delle aspettative. L’autolesionismo e il ritiro sociale sono la manifestazione di quel dolore (La Stampa, 29 maggio 2023). C’è un luogo dove un adolescente può dire “io” con verità?
Tante volte, in questi tempi, genitori, insegnanti, adulti si sorprendono di fronte a certi atteggiamenti dei giovani, senza rendersi conto che nella maggior parte dei casi sono la logica conseguenza dell’angustia che sono riusciti a trasmettere nel disperato impegno di assicurare loro un futuro senza rischi. Adolescenti che hanno paura di crescere, perché intorno non vedono gente cresciuta. Già Pasolini sul Corriere scriveva che “I vari casi di criminalità che riempiono apocalitticamente la cronaca dei giornali e la nostra coscienza abbastanza atterrita, non sono casi: sono, evidentemente, casi estremi di un modo di essere criminale diffuso e profondo: di massa”.
Ed è proprio durante l’anno centenario della sua nascita che Pasolini, una notte, mi è apparso in sogno.
Sarà perché l’ho sempre scoperto amico in tutti questi anni, compagno delle mie lezioni in classe. Non semplici citazioni, ma profonda commozione per la sua unica e straordinaria intelligenza sull’esperienza umana e sulla realtà. L’unico intellettuale cattolico, come diceva don Giussani spiazzando tutti.
Mi ha subito detto che oggi, anche a causa del suo recente centenario, tutti lo citano, tutti dicono che ci vorrebbe uno come lui per capire nel profondo questo cambiamento d’epoca e si è detto sorpreso che anche un noto cardinale lo abbia evocato in quei giorni. Non si contano più quelli che dicono “ci vorrebbe un Pasolini, oggi”. Però quand’ero vivo…
“Ciò che mi ha spinto a manifestarmi è un moto di indignazione e anche di grande irritazione nate dall’ultimo ed ennesimo inutile dibattito sulla nostra scuola. Non lo volevo dire, ma devo! Dopo tanti anni avevo proprio ragione e la mia non era una sterile provocazione, ma la sfida radicale sulla questione educativa: ‘Abolire immediatamente la scuola (allora dicevo scuola media dell’obbligo)’ . Intendiamoci, detta così sembra un’assurdità, e lo è. Infatti, ciò che bisogna immediatamente abolire, cancellare, licenziare sono i responsabili del disastro educativo ed organizzativo della scuola italiana. Ciò che mi stupisce, ma non più di tanto, e che tutte le analisi sulla scuola non toccano mai (o non lo vogliono toccare) il vero problema, che passa anche dallo snellimento (io se potessi direi dall’abolizione) del ministero dell’Istruzione e le sue diramazioni regionali e provinciali. Certo, non è il solo problema; ma sono questi i luoghi dove migliaia di funzionari imbrigliano e puntellano edifici in macerie o parzialmente crollati sotto l’urto dell’emergenza educativa. È giunta l’ora di portare provocatoriamente ‘i libri della scuola’ in Tribunale ed attivare il procedimento per ‘bancorotta fraudolenta’. È troppo tempo che le nostre ragazze ed i nostri ragazzi ‘vanno a scuola’, ma non ‘fanno scuola’. Invece, fanno tante, tantissime attività (basta vedere le centinaia circolari ministeriali che ogni anno intasano le segreterie scolastiche con proposte di iniziative e concorsi di ogni genere); ma le fanno proprio perché non hanno la forza, non riescono a proporre un lavoro educativo che arrivi a toccare il cuore degli studenti: cercare un significato che abbracci, aiuti a verificare e a sottoporre al vaglio della ragione il valore esistenziale delle risposte che man mano il mondo gli propone per cercare di soddisfare tutti i loro desideri. Ci si limita, nel migliore dei casi, a stabilire un rapporto che non li disturbi, un patto di non belligeranza. Così si evita che maturi un pensiero critico che può nascere dal confronto con una esperienza di vita comunicata, non con il nulla. Se qualcuno ti ha educato può averlo fatto solo con il suo essere, non con le sue parole. Questa verifica o è libera o non è. E qui vengo al punto cruciale. Punto che avevo già affermato nel famoso articolo (‘Aboliamo la tv e la scuola dell’obbligo’): la scuola e il video sono autoritari perché statali, e lo Stato è la nuova produzione (produzione di umanità). E qui che, secondo me, c’è il vulnus irrisolto della scuola: è statale. Non è pubblica, è statale. E di conseguenza è autoritaria (esercizio dei funzionari). Solo una vera scuola pubblica può iniziare e tentare di ricostruire un percorso educativo all’altezza delle aspettative di chi la frequenta: giovani e adulti. Perciò, liberiamo il gigante. ‘Processiamo’ i ‘bancorottieri’. Portiamo i libri in Tribunale… Facciamo fare scuola a chi la vuole fare, liberamente. Si, lo devo dire, me ne sono convinto, la vera rivoluzione è la libertà di educazione, fare scuola come la scuoletta che feci a Casarsa nel ’44, una forma inedita di educazione popolare che, guarda caso, un improvviso veto burocratico del provveditore agli studi di Udine fece chiudere (continuammo nella sala pranzo di casa mia). Da quella esperienza ho maturato, come ho scritto a Gennariello, un’idea del maestro: chi sta in cattedra non deve essere oggetto d’amore ma saper provocare amore per l’oggetto di studio e farlo vivere come un’avventura. Basta, non parlerò più. Tanto fra trent’anni staremo ancora qui a dire le stesse cose”.
I trent’anni sono ampiamente trascorsi. Non sarà lo psicologo in classe, da solo, a rispondere al dolore evolutivo dei nostri ragazzi. Deve accadere qualcosa, un imprevisto, la sorpresa di un “incontro”. Imbattersi in persone in cui quelle domande determinino una vera ricerca, aprano a una soluzione. Ci vuole un luogo di libertà.
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