La Fondazione Agnelli ha recentemente presentato i risultati della ricerca Osservazioni in classe realizzata nel 2014, frutto di una collaborazione pluriennale con Invalsi. È stato osservato direttamente nelle classi il lavoro didattico quotidiano di un campione rappresentativo di oltre 1.626 insegnanti di italiano e matematica (di ruolo e supplenti annuali) nelle scuole elementari e medie di 207 istituti comprensivi in tutto il Paese. In ognuno sono state selezionate due classi di quinta elementare e due classi di prima media. L’osservazione è stata condotta su una lezione di due ore di italiano e su una di due ore di matematica. Ogni insegnante è stato osservato utilizzando una griglia comune prevalentemente testata, in tre momenti successivi, da differenti coppie di 188 osservatori Invalsi, appositamente formati per allineare i loro criteri. Quattro gli indicatori: l’insegnamento strutturato, le tecniche di interrogazione e discussione, le strategie di sostegno ed il monitoraggio/valutazione.



Perché la partnership con Invalsi? Invalsi ha realizzato, nel quadro della sperimentazioni che hanno preceduto l’avvio del Servizio nazionale di valutazione, un progetto pilota – Valutazione e Miglioramento – che prevedeva l’ utilizzo, al fine  della valutazione complessiva di una scuola, anche dell’osservazione di attività di insegnamento direttamente in classe. Nella messa a regime questo aspetto è stato abbandonato per evidenti ragioni di opportunità, per divenire un filone autonomo di ricerca.



In realtà lo shadowing è diffuso da tempo nella ricerca qualitativa internazionale e consiste nell’osservazione di quanto avviene in classe sulla base di criteri, punti di vista, presupposti pedagogico-metodologici esplicitati e divenuti schede di osservazione e graduatorie quantitative.  L’obiettivo è quello di capire cosa succede nel black box (la scatola nera) di quanto avviene in classe. Ciò è tanto più importante, in  quanto le ricerche internazionali e nazionali hanno dimostrato che il ruolo degli insegnanti è cruciale nel determinare il livello di apprendimento degli studenti. Bella scoperta, dirà qualcuno. Ma non bisogna dimenticare che nei primi decenni del millennio è stato fatto, soprattutto da Ocse, un imponente investimento sulle caratteristiche strutturali dei sistemi scolastici  per spiegare il posizionamento dei paesi nelle graduatorie e per conseguentemente proporne le best practices in proposito sotto qualsiasi cielo.



Solo che entrare nelle classi non è semplice, per quanto se non impossibile. Anche in Italia ci sono stati ottimi esempi. Chi scrive ricorda ancora un libro del 2005 di Marinella Sclavi, A una spanna da terra. Una giornata di scuola negli Stati Uniti ed in Italia ed i fondamenti di una metodologia umoristica, una comparazione fra quanto osservato nelle aule di un liceo classico del centro di Roma ed in quelle di un college nei sobborghi elitari di New York, da cui si poteva capire molto più che da tutti i trattati pedagogici italiani.

Tuttavia i molti anni che in questo caso sono stati usati per la decantazione e la lettura dei dati ci dicono che il tema è tuttora delicato perché per la prima volta qualcuno è entrato in modo ufficiale e quantitativamente significativo nelle aule. Nella palese inefficacia di una formazione degli insegnanti che nel caso migliore è informazione, nel peggiore è predica, stanno crescendo le modalità di presa diretta su quello che succede nelle classi e nella testa dell’allievo. In Giappone da tempo si usa per la formazione solo l’analisi critica fra pari delle performance di insegnanti ripresa direttamente nelle classi ed ora sta diventando possibile l’ analisi e valutazione delle modalità di ragionamento degli allievi attraverso la tracciabilità dei percorsi di soluzione dei problemi attraverso le prove Cbt (computer based test)  adottate da qualche tempo anche da Invalsi.

Ma cosa ci ha detto questa ricerca? Più del 23% degli insegnanti osservati possederebbe ottime capacità di spiegare in modo strutturato (la normale lezione), con il 60% collocati nel livello medio ed il 17% ad un livello di inadeguatezza. Si va leggermente meglio per quanto riguarda le capacità di fornire indicazioni agli allievi sulle strategie ed i metodi da seguire: i migliori qui raggiungono il 30% mentre solo il 13% mostra deficit preoccupanti. Gli insegnanti delle scuole elementari sembrano essere più attrezzati di quelli delle scuole medie in tutti e due i campi. Gli insegnanti di matematica vanno meglio di quelli di italiano.

L’umana gaussiana colpisce dunque anche gli insegnanti: una minoranza gli eccellenti, pochi e fortunatamente meno i pessimi, ma tanti, troppi forse quelli che stanno nel mezzo. Niente di sconvolgente, perché solo le autorapprasentazioni della categoria ne postulano a priori l’eccellenza e perciò la non valutabilità. Stupisce però che questa medietas venga riscontrata anche nell’aspetto della professionalità più  scontato, nel suo tradizionale punto forte soprattutto nel nostro paese, in poche parole nella lezione.

Che molto saggiamente la ricerca ha preso in considerazione, senza demonizzarla come talvolta avviene, perché una buona didattica deve essere equilibrata e prevedere momenti di attività e creatività e momenti di gruppo, ma anche di attenzione dell’allievo e di presentazione di nuovi contenuti. Gli asiatici oggi ce lo insegnano.

Ma nella cosiddetta “lezione frontale” le prestazioni dovrebbero essere migliori. Perché ciò non avviene? Lasciati a se stessi per decenni, senza momenti di confronto, di riscontro, di sfida è umano che ci si lasci andare. Del resto è senso comune che la mancanza di stress dovuta a mancanza di “challenge” sia uno dei benefit della professione. Un benefit velenoso però.

Gli insegnanti del settore letterario poi, che nei decenni dopo il Sessantotto erano i più disponibili all’innovazione anche metodologica, da tempo sembrano essersi chiusi a riccio in difesa di un passato in cui in Italia l’egemonia della cultura umanistica era indiscussa, mentre ora sembra trionfare non, ahimè, quella scientifica con le sue applicazioni tecnologiche, ma una subcultura facilona. Tuttavia resta incomprensibile questo posizionamento conservativo dei cultori del ramo del sapere più vicino alle possibilità di utilizzazione diretta per la costruzione dell’individuo e per l’attribuzione di significatività ed anche, perché no, di piacere alla vita.

La scuola elementare senza dubbio è facilitata dal livello di età degli allievi e dal limpido compito di dovere prioritariamente trasmettere abilità strumentali. Tuttavia sarebbe da verificare l’ipotesi di una scuola elementare italiana eccellente e di una media “buco nero”. La crescente disparità nelle prove Invalsi fra le diverse parti d’Italia nel passaggio dalle seconda alla quinta elementare fa riflettere. E fa riflettere soprattutto il fatto che questa sembra essere significativa soprattutto in matematica, settore nel quale il peso della provenienza socioeconomica è – come hanno dimostrato tutte le analisi – minore e perciò dinnanzi alla scuola si aprirebbero praterie di potenziale equità. Anche le modalità di valutazione determinano le caratteristiche di un percorso didattico: valutazione formativa intesa come valutazione del percorso e non degli esiti, tendenza al livellamento per non penalizzare i meno brillanti: le caratteristiche di mediocrità degli esiti del sistema scolastico italiano forse alla sua base hanno qui solide radici.

Poiché tutti i salmi finiscono in gloria, la panacea universale sarebbe la formazione. Pare di ricordare che le nuove norme prevedono una certa quantità obbligatoria di crediti anche per i laureati nelle diverse discipline che andranno a riempire i ranghi degli insegnanti delle scuole medie. Ma evidentemente un’infarinatura di una pseudoscienza piuttosto volatile, senza training ed esperienza diretta, oculatamente cancellata dalle riforme dell’indimenticabile ministro Bossetti, non serve a granché.

Si attende con interesse il risultato delle osservazioni anche per quello che riguarda gli altri terreni di questa analisi Invalsi-Fondazione Agnelli. Con la speranza che lo shadowing divenga una pratica comune ed accettata anche nelle nostre aule.

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