Si fa un gran parlare dei docenti di sostegno che, per numeri di persone coinvolte e varietà di interessi, costituiscono, senza avere peli sulla lingua, un bel gruzzoletto di soldi e voti da usare all’occorrenza, potenzialmente a discapito del diritto della tutela e dell’istruzione degli alunni con disabilità. Vale la pena vedere il perché, in un mosaico complesso, senza avere la pretesa di poter esaurire il tutto, dato che è in discussione la conversione in legge del decreto legge n. 71 del 31 maggio 2024.
Diamo qualche numero. In un documento ministeriale, dal titolo Principali dati della scuola. Avvio Anno Scolastico 2023/2024, emerge che i posti istituiti per l’a.s. 2023/2024 sono complessivamente 684.592 posti comuni e 194.481 posti di sostegno. Cioè circa il 22% dei docenti italiani sono docenti di sostegno. In 14 anni, secondo la ricostruzione su dati ministeriali elaborati dall’autorevole Centro studi Orizzonte Scuola, i posti sul sostegno sono aumentati del 148,29%, passando dai 94.430 del 2011/12 ai 234.460 del 2023/24. Numeri impressionanti. Aumento che non è stato “governato” da una seria politica di chi si è succeduto a Palazzo Chigi negli ultimi anni, creando purtroppo criticità e problemi cui l’attuale ministro, con onestà intellettuale, ha cercato di porre rimedio come meglio si poteva, con la conseguenza di suscitare un vespaio di polemiche, spesso fortemente ideologizzate e poco pragmatiche.
Vediamo il come, ma senza tralasciare il che cosa.
Per fare l’insegnante di sostegno occorre svolgere un corso universitario post laurea, che dura circa un anno: il Tirocinio formativo attivo TFA-sostegno, erogato al momento solo dalle università tradizionali e non da quelle telematiche, per il divieto esplicito delle lezioni online nella normativa, è un percorso altamente selettivo in entrata, con frequenza obbligatoria in presenza; infatti, ci sono esami accademici relativi alla pedagogia speciale, laboratori di didattica disciplinare in chiave inclusiva, il tirocinio diretto in una scuola e una rielaborazione meta-riflessiva in un tirocinio indiretto, con un approfondimento delle tecnologie per insegnamento.
Un percorso così selettivo e arduo che molti esclusi, nel corso di questi anni, pur di avere un posto statale, hanno deciso di prendere un titolo “analogo” all’estero, come ad esempio in Albania e in Romania, Paesi in cui esistono ancora le scuole speciali, abolite in Italia nel 1977. Quanti sarebbero, quindi, questi docenti specializzati all’estero, che spesso si affidano a enti intermediatori che, con sede in Italia, si fanno pagare profumatamente? Su un totale di circa 14mila, ad oggi il ministero, grazie alla collaborazione con CIMEA (Centro di Informazione sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche), ha potuto elaborare solo 1.500 istanze, mentre 4mila provvedimenti sono già pronti e stanno aspettando il riconoscimento da parte del ministero dell’Università e della Ricerca (MUR). Quindi complessivamente sono 5.500.
E i restanti richiedenti? In attesa dell’esito di ricorsi e controricorsi che foraggiano studi legali specializzati per il riconoscimento dell’equipollenza, il ministro Valditara ha messo in luce che le università italiane riescono a specializzare “solo” circa 30mila docenti di sostegno all’anno, rispetto alle reali necessità della scuola. Ma anche qui, per amore di verità, c’è da aggiungere un altro tassello, rispetto a tali dati, che il ministro sembra non aver adeguatamente tenuto in considerazione: mentre la maggioranza dei posti di sostegno sono nelle scuole del Nord del Paese, le università del Sud sono in grado di specializzare migliaia di docenti senza che questi corrispondano al reale fabbisogno delle scuole locali.
Un esempio: mentre l’Università Bicocca di Milano ha solo 420 posti dalla primaria alle superiori per l’anno 2024, l’Università di Palermo ne ha 1.200; mentre l’Università degli Studi di Milano ne ha 120, l’Università Enna Kore ne ha 1.400. Addirittura la Link Campus University, privata con sede a Roma, 2.500! Come mai questa discrepanza?
Se è vero che gli atenei italiani godono di ampia autonomia, essi in generale sono al servizio della nazione e devono organizzarsi per dare concrete ed efficaci risposte ai cittadini: perché semplicemente non prendere le migliori pratiche didattico-organizzative degli atenei italiani che specializzano migliaia di docenti all’anno e applicarli alle altre università? Tutte rilasciano il titolo che ha il medesimo valore legale sul territorio nazionale, e tutti gli specializzandi pagano una esosa tassa di immatricolazione… Ma il MIM e il MUR, non potendo direttamente “controllare” e, di conseguenza, intervenire sulle scelte degli atenei che annualmente “si spartiscono” una torta di aspiranti docenti di sostegno, hanno trovato l’escamotage di affidare all’INDIRE la realizzazione di percorsi “light” di specializzazione nell’insegnamento del sostegno a studenti con disabilità per i circa 85mila precari storici: possono infatti partecipare coloro che hanno svolto, nelle istituzioni scolastiche statali e paritarie, un servizio su posto di sostegno della durata di almeno tre anni scolastici, anche non continuativi, nei cinque anni precedenti.
Ha dichiarato il ministro Valditara: “Gli atenei hanno migliorato le loro performance, ma riescono a malapena ad abilitare 30mila docenti sul sostegno all’anno. Ma non riescono ad abilitare gli 85mila docenti precari [storici, ndr] che ci sono. Ci sono due possibilità: o lasciamo che 85mila ragazzi vengano seguiti da docenti senza specializzazione o facciamo così che ci sia un canale parallelo”.
La soluzione sarebbe molto semplice, ma risulterebbe indigesta al mondo accademico: trasformare la laurea magistrale in una laurea professionalizzante e abilitante, sia per le materie curricolari, sia per il sostegno, compreso un tirocinio supervisionato serio nelle scuole. Qualcuno ha già bollato, con pregiudizio infondato, il percorso non ancora partito e organizzato di INDIRE di serie B, quasi un “condono”, dimenticando che concorsi e/o percorsi accademici riservati ci sono sempre stati rispetto a concorsi ordinari e ufficiali per conseguire l’abilitazione, per esempio i PAS. durante la SSIS. La perplessità rimane riguardo a una novità assoluta: come mai dopo ben nove edizioni del TFA-sostegno organizzate solo dalle università italiane, adesso il MIM e il MUR affidano la preparazione di migliaia di aspiranti docenti di sostegno all’INDIRE?
Infine, i sindacati della scuola non possono più contare sullo zoccolo duro del precariato, facile da “manovrare”; basterebbe vedere le percentuali dell’effettiva adesione agli scioperi del comparto scuola: quasi sempre il giorno scelto è il venerdì, in quanto la maggioranza delle scuole di sabato è chiusa!
Chi decide di fare l’insegnante, lo dovrebbe fare non come ripiego, ma per scelta professionale animata da sincera “vocazione”. Tanto che moltissimi corrono a prendersi il titolo del sostegno in Romania, Spagna e chissà dove ancora.
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