“Corpi nello schermo: esplorazioni sulla Dad” (Cafagna Editore) è il titolo di una raccolta di testimonianze vissute da parte di insegnanti, dirigenti, studenti e genitori, con l’obiettivo di far tesoro delle loro preziose suggestioni e attese, sia per meglio affrontare il nuovo anno scolastico, sia per contribuire a una riflessione più ampia e plurale sulle trasformazioni in atto che investono la nostra scuola non solo nelle sue componenti tecnologiche, ma anche, inevitabilmente, nelle sue implicazioni relazionali e umane.
Fare i conti direttamente con la scuola a distanza ha fatto emergere tanti interrogativi in coloro che vivono la scuola e vivono di scuola: come creare condizioni nuove per un tempo didattico che riscopre l’indugio, l’attesa, la riflessione, il tempo giusto per accogliere studenti diversamente coinvolti nell’avventura di insegnare? Come sostituire quello sguardo, quella presenza, quella voce in un corpo distante, visto a metà, fatto di uno sguardo vitreo, a volte smarrito e desideroso di un altro sguardo sfuggente, che c’è e poi svanisce, che risponde e poi si distrae, che si muta e si smuta (solo se interrogato) e poi definitivamente evapora? Come non minare la crescita individuale di tanti studenti, immiserendo e riducendo a grigia inanità la materia insegnata? E, addirittura, come non inoculare, nella sensibilità di ogni studente, il più corrosivo degli acidi: la noia, sì da indurli ad una stanca indifferenza?
Interrogativi, più che mai attuali, ai quali non sono seguite puntuali risposte, ma un turbinio di nuove scoperte, apprensioni, bisogni, prospettive
Dalle esperienze narrate è emerso quel coraggio di chi si è rimboccato le maniche per dar vita a un nuovo esercizio didattico: inatteso, destabilizzante, trascurato fino a marzo 2020.
I docenti hanno dovuto “sospendersi” tra paura, emergenza e voglia di continuare in quello slancio educativo come se nulla fosse. Hanno dovuto, in meno di 24 ore, rivedere spazi, tempi, contenuti, relazioni, impegni in un tumulto di emozioni, timori e speranze.
Una scuola che ha dovuto adottare un nuovo “design” educativo. Accolto come sfida da alcuni, come imposizione da altri, come impegno per taluni ancora.
Impreparazione, scetticismo, incredulità, sentimenti che hanno favorito un nuovo approccio che ha dato vita ad atti e azioni didattiche differenti e non più adagiati sulla routine.
Si scopre, benché orientati, con difficoltà ma con fiducia, verso nuovi modelli didattici, un impegno prioritario da parte di tutti e di ciascuno: dare voce alla classe virtuale. Una sorta di imperativo regolativo, antecedente anche agli impegni disciplinari. Si è compreso che occorre far capire il valore del nuovo luogo che si “abita”, come le componenti vivono in quel luogo e come sia possibile trovare tra di esse una reale connessione.
La classe, anche se virtuale, docet: si tratta di capire come ascoltarla, come farla vivere, come darle voce per accogliere le sfide che i nostri studenti lanciano per un’intersoggettività autentica. E, ancora, per muovere quei passi necessari per vivere un’intersoggettività positiva. E poi per dar voce a tutte quelle forme funzionali a un’intersoggettività comunicativa, o meglio dialogica, tesa alla condivisione e costruzione di significati comuni.
Una scoperta che è diventata sfida per molti docenti che l’hanno assunta come compito e impegno responsabile.
Un giorno saremo chiamati a rispondere su cosa resta di questa esperienza. Quali i punti più critici e quali, invece, quelli più ricchi di potenzialità. E, ancora, quali aspetti sopravvivranno all’emergenza e potranno contribuire a migliorare, in forma aggiuntiva o integrativa, la didattica nelle nostre scuole.
Oggi non siamo in grado di rispondere, troppe variabili sono in gioco e tante le ricadute che l’esperienza ha su studenti, docenti e famiglie. Parlarne ancora, e tanto, è probabilmente l’unica possibilità per dare risposte ai tanti interrogativi che balenano nelle teste pensanti di chi crede in una nuova stagione scolastica.
Per il momento penso che, quanto vissuto e quanto stiamo ancora vivendo costituisca un richiamo forte, un invito inaggirabile a riflettere, in modo più aperto e vero, su cosa ci unisce realmente, al di là delle possibilità tecnologiche e della stessa presenza fisica: cosa, in definitiva, ci coinvolge veramente nel nostro stare insieme distanti.
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