Febbraio, si sa, laddove l’anno scolastico è scandito in primo e secondo quadrimestre, è tempo di pagelle. Al termine di gennaio, svolti gli scrutini, gli alunni ricevono la scheda di valutazione intermedia, documento che raccoglie i frutti del percorso svolto nei primi mesi di scuola, e il dialogo tra le famiglie e gli insegnanti dopo la consegna è sempre occasione di crescita e confronto, tanto più se ad esso, come continuo a ripetere ai miei studenti, partecipano anche loro, diventando a pieno titolo protagonisti del loro processo di apprendimento.
Presto l’innovazione della valutazione alla scuola primaria introdotta dall’O.M. 172 del 4 dicembre 2020 arriverà a toccare e coinvolgere anche i successivi gradi dell’istruzione, aprendo per tutti spazi nuovi di riflessione su un aspetto delicato e bellissimo della scuola, che coinvolge nelle sue radici il ruolo dell’insegnante e il rapporto tra l’insegnante e il discente. Quella della valutazione è infatti una delle più grandi responsabilità di maestri e professori, ma perché una valutazione sia incisiva, perché serva davvero, è necessario che colui che la riceve ne percepisca il senso e ne comprenda le ragioni, la condivida, la faccia sua, utilizzandola per migliorare nello sviluppo degli apprendimenti e nell’acquisizione di competenze disciplinari e trasversali.
In questo senso, al di là della particolare accezione che l’aggettivo può assumere nella docimologia, nella scuola la valutazione è sempre “formativa”: ha il compito cioè di aiutare gli alunni nella loro crescita, contribuendo alla formazione di persone consapevoli, capaci di migliorare e progredire, di riflettere sui propri punti di forza e di debolezza lavorando sugli uni e sugli altri per far emergere e sviluppare nel modo migliore le risorse che hanno dentro di sé.
Se il primo passo per coinvolgere gli studenti nel processo della valutazione è quello (necessario e giustamente previsto dalla normativa) di condividere con loro in modo trasparente criteri, indicatori e descrittori, l’insegnante ha a disposizione anche altri strumenti che lo aiutano in questo. Progressivamente, nella mia carriera di insegnante, ho visto che una delle pratiche più utili è quella di promuovere l’autovalutazione, fornendo agli alunni strumenti con cui possano guardare e giudicare i propri risultati, le prove, il proprio processo di apprendimento, innescando un’attitudine riflessiva che – se continuamente promossa e incoraggiata – possa diventare habitus nella vita.
Qualche tempo fa, durante un’ora di compresenza con una collega e in vista della consegna delle pagelle del primo quadrimestre, mi è capitato di chiedere agli alunni di compilare la rubrica di valutazione che il consiglio di classe avrebbe utilizzato per definire il giudizio sintetico del comportamento. Abbiamo fornito a ciascuno una copia in bianco della scheda, l’abbiamo letta con loro per illustrarne i criteri, e mentre i ragazzi lavoravano con serietà sugli indicatori deliberati dal collegio docenti, diversi di loro hanno alzato la mano per porci delle domande: per indicare il livello a cui secondo loro si collocavano su una determinata competenza hanno avuto il bisogno di comprendere fino in fondo ciò che gli chiedevamo di osservare (ciò che, quindi, i docenti avrebbero osservato per determinare i livelli di competenza e stabilire la valutazione del loro comportamento).
Alla fine dell’ora ci hanno detto che valutare è difficile, ma credo si siano accorti che l’atto della valutazione implica il riconoscimento dei passi svolti e di quelli che sono ancora chiamati a fare. Sicuramente, di fronte alla scheda del comportamento stilata dagli insegnanti e ricevuta con la pagella, il lavoro che abbiamo svolto insieme in quell’ora di lezione gli ha fatto comprendere maggiormente il senso dei livelli che il consiglio di classe gli aveva assegnato, anche laddove il giudizio non coincideva con quello che si erano dati.
L’esempio che ho fatto può essere considerato particolare (si tratta infatti del bilancio di un ampio arco di tempo), ma l’autovalutazione può essere proficuamente incoraggiata con gli stessi benefici anche per le diverse tipologie di prove con cui si verificano in itinere apprendimenti o si osservano competenze (compiti di realtà, attività di cooperative learning, prove scritte o orali), anche quelle in cui la valutazione si traduce in un voto numerico.
Innanzitutto, c’è da osservare che il coinvolgimento dell’alunno può favorire la seppur lenta erosione della percezione dell’arbitrarietà delle valutazioni ricevute dagli insegnanti che spesso gli studenti hanno, a torto o a ragione (“Ce l’ha con me e quindi mi ha dato 4”), scardinando insieme l’impressione punitiva delle insufficienze che talvolta purtroppo aleggia nelle aule scolastiche. Inoltre, se devo dire che quando la metto in pratica trovo in generale una diffusa oggettività degli alunni sulle proprie prove, osservo che l’autovalutazione aiuta i ragazzi e le ragazze a percepire l’insegnante come un interlocutore: un adulto più avanti nel cammino, da cui può essere guidato e che può sostenerlo nel considerare, nel confronto, aspetti che aveva trascurato, sottostimato o sopravvalutato nel giudizio che si è assegnato. Opportunamente incentivata, l’autovalutazione contribuirà a sviluppare negli studenti la capacità di porsi domande, capacità che in ogni occasione (non solo nella scuola) può essere usata come una spinta continua per migliorarsi e progredire. Da ultimo, credo, la pratica dell’autovalutazione opportunamente condotta e distribuita nel corso dell’anno scolastico aiuta gli alunni (ma anche i docenti) a smettere di rincorrere il mito di una valutazione “oggettiva”, trasmettendo la bellezza della responsabilità insita nel riconoscere il valore delle cose che l’arte di valutare appunto richiede.
Dare la parola agli studenti e coinvolgerli in un aspetto che li riguarda così da vicino ha bisogno di una grande consapevolezza da parte degli insegnanti, che si costruisce anche per loro attraverso domande, confronti, dialoghi, pratica, attenzione, studio, apertura. Ma prima ancora, chiede due cose ben più profonde, che si collocano alla base del loro lavoro nella scuola, sia essa in presenza o a distanza: la stima dell’altro e la fiducia nella capacità di giudizio che i ragazzi e le ragazze che hanno davanti possiedono.
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