Una recente ricerca sull’utilizzo dell’IA nelle scuole italiane, ha rivelato che il 65% dei ragazzi dai 16 ai 18 anni utilizzano ChatGpt e simili per fare i compiti e scrivere saggi. La maggior parte di loro afferma di voler continuare a usare questo strumento in futuro (circa il 70%). I numeri percentuale si dividono quando si tratta di giudicarne l’affidabilità o il pericolo di influenzare l’opinione pubblica.
Qual è innanzitutto il motivo di questo successo? Lo cercherei in una certa tendenza dei ragazzi a nascondere, o meglio, a voler insabbiare il proprio io. Ultimamente ho assegnato delle verifiche ai miei studenti, sia di letteratura che di storia. Una li invitava a cercare i motivi di ripresa di Renzo, dopo le sue “cadute”, dopo i suoi sbagli (nei Promessi sposi); in un’altra chiedevo di stabilire un rapporto tra le aspirazioni dei rivoluzionari francesi e la loro “sistemazione istituzionale” nel nuovo codice civile napoleonico. E ho notato che i ragazzi rispondono sempre più in modo “compilativo”. Fanno riassunti, elenchi di fatti. Renzo ha fatto questo, poi quest’altro, poi quest’altro ancora. Le riforme napoleoniche più importanti sono: uno… due… tre… e così via.
Per loro è importante prendere in mano l’automatismo che gli permetta la risposta sicura. Non rischiano mai un giudizio personale. Non fanno un paragone tra le cadute di Renzo e le loro crisi personali, tra la possibilità di rialzarsi del personaggio e la loro possibilità di non essere schiacciati dall’errore. Non lo fanno perché non prendono in considerazione se stessi, la loro esperienza, i fatti della loro vita come cassaforte di tesori preziosi da conservare e da cui trarre motivi di una crescita personale.
La loro persona è come spenta, sconosciuta a loro stessi. La persona si conosce se è provocata da una presenza che la sfida a uscir fuori senza timori e se rischia giudizi personali sulla realtà, senza aver paura di cadere in errore o sbagliare. La persona emerge con tutta la sua creatività se agisce in un “panorama di perdono”, in cui sa bene che può muoversi liberamente senza l’ansia di essere giudicata in modo definitorio al primo sbaglio che compie.
La tecnologia certamente offre a un ragazzo lo strumento giusto per evitare “l’entrata in scena” del proprio volto. La risposta compilativa mette sicurezza. Inserisce il ragazzo in un “luogo protetto” e dal quale non sporgersi troppo: niente nessi, nessun tentativo di cogliere un senso, nessuna critica che nasca dal paragone con un sé ormai così distante da non riconoscerne più né il peso né i tratti. Del resto, anche i docenti, come ogni tipo di test, richiedono sempre più frequentemente questa “oggettività” e questo tipo di risposte (quante monete doveva Tonino a don Abbondio? quanto dista il convento di Pescarenico dalla casa di Lucia? in che mese si svolge l’assalto ai forni?).
La stessa tendenza al nascondimento, i ragazzi la dimostrano anche cercando sempre più di conformarsi alla classe, al gruppo, di fare quello che fanno tutti gli altri, per la paura di esser stigmatizzati o derisi o giudicati, per la paura di essere se stessi, per la paura di quella scintilla originale che c’è in ognuno di loro (non è anche questo un tentare di nascondersi o delegare se stessi a un meccanismo?).
Pochi mesi fa, in una classe molto disinteressata, ho scritto una lettera ad ogni ragazzo, chiedendo ragione del suo apparente menefreghismo. Nessuno mi ha risposto. Dopo qualche giorno una ragazza mi invia una mail e mi racconta di sé, di quello che ha notato nelle nostre lezioni. Alla fine però mi prega di non dire a nessuno che lei ha risposto, assolutamente dovevo giurarle di tenere le sue considerazioni solo per me. Altrimenti la classe l’avrebbe criticata aspramente.
Il nostro compito di docenti è dunque – tanto più oggi con l’imporsi dell’IA e di ChatGpt anche nel lavoro scolastico – di destare dalla nebbia questi io nascosti, di tentare continuamente di provocare “la scintilla” di un cuore che di fronte alla realtà si ridesta, viene toccato e colpito nella sua unicità e originalità. Di risvegliare quel soggetto che poi dovrà porre le giuste e dovute domande al sistema tecnologico.
Dunque non possiamo fermare la tecnologia e il suo utilizzo proficuo e di aiuto ai nostri studi (un’enciclopedia sempre a portata di mano; un dispensatore di soluzioni a breve termine), ma dobbiamo tener conto che la scuola deve favorire un approccio critico e personale allo studio, mai regolativo ed enumerativo, meccanico e automatico, spersonalizzato e neutrale. Questo vale per l’affronto delle discipline come anche per la vita relazionale all’interno di una classe.
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