Il caso dei sette ragazzi di origine egiziana che a Catania hanno stuprato un’adolescente davanti al fidanzatino. Le gravi molestie (taharrush gamea) fatte da una trentina di giovani a Milano a loro coetanee durante il Capodanno dello scorso anno. La banda di adolescenti e giovanissimi, autodefinitasi “arabzone90133”, che a Palermo terrorizzava il centro della città. E ancora, i ripetuti casi di adolescenti pakistane promesse come spose ad anziani del loro Paese e, a seguito del loro rifiuto, diventate oggetto di violenze intollerabili. Fatti che mettono in prima linea la scuola italiana e la chiamano a un ruolo educativo importante. Si può far finta di non vedere e affidarsi alla dea bendata, oppure iniziare a prendere decisioni a livello strutturale.
Gli studenti di origine non italiana sono un milione. E proprio nella scuola, perciò, si può fare tanto. Bisogna però uscire dalle ideologie che impediscono di vedere i problemi reali. Tutti buoni o tutti cattivi secondo l’appartenenza politica, giudizi secondo la bandiera da sventolare, guai a chi sconfina in zone neutre o diverse. Ecco perché chi è sul campo può avere una prospettiva migliore, perciò più diretta e consapevole.
Bisogna notare, innanzitutto, che molti studenti vengono inseriti nelle classi appena arrivati in Italia. Bisognerebbe forse aiutarli, immediatamente e in prima battuta, con corsi intensivi tenuti da specialisti in italiano per stranieri. Le Università di Perugia e Siena, ma non solo, forniscono specialisti ad alta qualificazione e competenza che potrebbero convenientemente aiutare i NAI (nuovi arrivati in Italia). Non è la stessa cosa, infatti, essere preparati da un docente volenteroso o da chi ha studiato come si insegna italiano L2.
In tutte le classi delle scuole superiori dovrebbe diventare obbligatorio, secondo un percorso quinquennale mirato, lo studio della Costituzione, ponendo attenzione specifica alla parità di genere, al rispetto dei diritti e della dignità della persona, all’importanza dell’uguaglianza e della prevenzione del razzismo, alla bellezza della libertà e della democrazia, al lavoro per il bene comune. Sarebbe auspicabile, però, promuovere non solo un patriottismo costituzionale, ma una sottolineatura dell’essenza universalista della civiltà italiana, facendo gustare a tutti i grandi classici (Dante, Michelangelo, Leonardo, Leopardi). Le domande dei grandi italiani sono, infatti, di tutti, di ogni cuore umano.
Si tratta di un passaggio certamente da studiare e progettare. E forse sarebbe utile, in tale ottica, chiedere ai docenti neo-immessi in ruolo di effettuare, come avveniva un tempo, il giuramento sulla Costituzione e davanti alla bandiera italiana. Non un semplice rito formale, ma un atto di lealtà autentica all’istituzione che si intende servire. In tempi di pensiero debole, infatti, è importante indicare a tutti i punti forti della coesistenza sociale.
Un altro punto di fondamentale importanza è il contatto diretto con le famiglie dei ragazzi di origine non italiana. È necessario che nelle scuole vi siano docenti, adeguatamente formati, con competenze interculturali e con capacità di mediazione. Gli studenti di origine non italiana si trovano spesso a navigare tra due diversi universi culturali: quello familiare d’origine e quello scolastico, nuovo e desiderato, d’arrivo. La navigazione tra mondi diversi non è semplice, talvolta avviene con il mare in tempesta in un’età difficile. È perciò importante introdurre alla realtà i ragazzi, promuovendo, anche, gruppi extracurricolari di conoscenza, incontro e amicizia con coetanei italiani e di diversa cultura. Lavori di gruppo, attività comuni di ricerca, studio insieme dopo l’orario scolastico e discussioni su problemi esistenziali o sociali possono aiutare a sentirsi parte di una comunità.
E poi si tratta di portare avanti l’opera importante della mediazione con le famiglie. Chi scrive ricorda bene la storia di una ragazza di origine non italiana diventata anoressica. Si stava spegnendo non solo fisicamente: la secchezza era arrivata alla sua anima. Si provava pena nel vedere la sofferenza dipinta sul suo volto. Il padre non voleva che facesse studi universitari dopo il diploma, perché avrebbe superato il suo livello di istruzione. La studentessa, insomma, non doveva essere “di più”. Ebbene, dopo tanti faticosi colloqui dei docenti col padre, prima difficili e imbarazzati, poi più diretti e non assertivi, si ottenne l’effetto sperato. Oggi la studentessa sta per laurearsi ed è rifiorita fisicamente.
Insomma, in un progetto nazionale di vera attenzione all’alterità, Costituzione, ascolto, mediazione e dialogo possono fare molto.
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