Caro direttore,
ho letto con molta attenzione l’articolo sul Corriere della Sera di Susanna Tamaro, che è sempre molto sensibile e acuta nell’analisi del mondo giovanile. Certamente la parola “vuoto” esprime bene certe manifestazioni del mondo giovanile quali quelle che la scrittrice denuncia.

Per dare un piccolo contributo alla sua riflessione vorrei ricordare un episodio che mi è successo l’anno scorso nella scuola in cui insegno storia e filosofia.



Una mattina dell’autunno scorso due mamme di due miei alunni sono morte dopo una lunga malattia (di cui ero a conoscenza perché le avevo conosciute in un colloquio didattico). La cosa che mi ha impressionato è che nessuno dei loro compagni ne era a conoscenza. “Ma come è possibile?!” ho chiesto. In molti mi hanno risposto che probabilmente i loro compagni non hanno mai detto nulla per non farsi compatire e i più condividevano questo atteggiamento.



Ma che solitudine vivono i ragazzi. Hanno paura di mostrare le proprie debolezze, i propri bisogni, le proprie angosce a dei compagni che magari reputano amici. Anzi, proprio il fatto di temere di essere compatiti e quindi isolati li porta a manifestare solo la parte sorridente e divertente o comunque condivisibile della loro vita, così come fanno sui social e nelle relazioni normali in classe o al sabato sera. Che solitudine e nello stesso tempo che bisogno di compagnia esprimono.

Certamente vuoto e solitudine sono due caratteristiche del mondo di oggi che si riflettono in modo drammatico nei giovani che, forse più di noi, non vogliono arrendersi a trovare un accomodamento a questo vuoto e a questa solitudine, e quindi le esprimono in forme spesso disperate ed estreme.



A questo vuoto e a questa solitudine solo una presenza carica di una proposta affascinante può rispondere. Il vuoto si vince solo con un pieno. Insegnando da ormai 35 anni e lavorando da 20 anni a Portofranco, centro di aiuto gratuito per gli studenti delle scuole medie superiori, mi colpisce sempre il bisogno di avere dei padri che i ragazzi hanno.

Non hanno bisogno di adulti che diano loro delle spiegazioni, che facciano loro delle esortazioni per cui li “misurano”, perché non sono ciò che loro hanno in testa che devono essere; hanno bisogno di padri. Hanno bisogno di trovare qualcuno fermo, certo e lieto di quello che vive e di quello che vuole comunicare e che quindi si appassiona a loro, ai loro interessi, ai loro bisogni; solo così vivono una crescita umana, si “divertono”, come diceva il grande mio amico ed educatore don Giorgio Pontiggia.

All’interno di un rapporto e di una proposta è giusto porre limiti e paletti, ma i giovani accettano e riconoscono il valore di limiti e paletti solo all’interno di un rapporto che riconoscono autorevole e di una proposta affascinante.

Per questo il vuoto e la solitudine dei giovani sono una grande responsabilità per noi adulti; provoca a domandarci: cosa sostiene la nostra vita? Quale esperienza di pienezza vivo nella mia vita, così che il vuoto che incontro in me e fuori di me possa essere provocazione a tornare sempre a questa esperienza e a comunicarla con la mia vita? Genera solo ciò che è generato, diceva sempre don Luigi Giussani.

Per questo l’esperienza dei giovani suscita in me una gratitudine per l’esperienza di paternità che ha generato e continua a generare la mia vita, e uno struggimento, un desiderio di essere padre dei ragazzi che incontro a scuola e nella vita.

Portofranco è nato dalla genialità educativa di don Giorgio Pontiggia proprio per essere un luogo nel quale i ragazzi non avessero timore di dire il loro bisogno, non avessero timore di mostrarsi “non performanti” o deboli e potessero chiedere aiuto.

Portofranco è diventato in questi anni un luogo di amicizia, in cui i giovani, guardati per il desiderio che hanno, tirano fuori quello che hanno dentro. E quello che hanno dentro i ragazzi di oggi, che appaiono svogliati, disinteressati, strafottenti, è …“tanta roba”, per dirla con il loro linguaggio.

Per questo voglio concludere riconoscendo che ciò che più determina i giovani di oggi, come noi stessi, è il desiderio di pienezza e non il vuoto, e il fattore decisivo dell’educazione è di essere una presenza che comunica una proposta affascinante ai ragazzi.

Sulle scale di Portofranco campeggia una frase di Plutarco: “I ragazzi non sono vasi da riempire ma fuochi da accedere”. Occorre accenderli, appunto…