Cos’è rimasto, dopo la pandemia, della Dad ovvero della didattica a distanza? Credo ben poco: essa viene praticata solamente in casi eccezionali, quando si hanno alunni ricoverati in ospedale, che diversamente perderebbero le lezioni per un lungo tempo.
Come ho scritto altre volte, non è in discussione il fatto che la didattica in presenza abbia una maggiore efficacia di quella a distanza. In presenza ha luogo la socializzazione degli alunni, che non è un fatto secondario rispetto all’apprendimento. Alcuni neurologi osservano, inoltre, come solo la prossimità fisica degli alunni possa attivare i cosiddetti neuroni a specchio, che favoriscono anch’essi l’apprendimento.
Ma tutto questo nulla toglie al ruolo straordinario che la Dad ha avuto nel tenere vivo il rapporto educativo con gli alunni durante la pandemia. Soprattutto non si può trascurare il fatto che essa è stata attivata in condizioni di estrema difficoltà, dovute anzi tutto alla mancanza di preparazione della stragrande maggioranza dei docenti.
La superiore efficacia della didattica in presenza, dunque, non cancella il problema dell’impreparazione degli insegnanti nel lavoro con gli strumenti informatici, che richiedono una revisione profonda delle tradizionali modalità cattedratiche d’insegnamento. Per non parlare, poi, della mancanza di strumentazioni adeguate in moltissime scuole, particolarmente in quelle delle regioni meridionali. Come sempre accade nel mondo scolastico, i problemi vengono rimossi, scotomizzati. E si parla di altro. Forse avremmo bisogno della guida di qualche bravo psicanalista, anziché di quella di un ministro.
Così, secondo la tradizione romana, particolarmente avvertita al dicastero di Viale Trastevere, si è proceduto con la ritualità della damnatio memoriae, nel tentativo di cancellare per decreto anche il solo ricordo di quella didattica. Come il volto dell’imperatore Geta fu cancellato dalla pittura del Tondo severiano, dopo essere stato fatto uccidere dal fratello Caracalla, così alcuni collegi dei docenti hanno voluto deliberare l’abolizione della Dad, come se fosse possibile approvare o meno la normativa vigente… Delibere inutili, tuttavia dal tono maramaldesco, perché “uccidevano” qualcosa di già morto. Dato che il ministro Bianchi, in ossequio alla volontà sindacale, aveva già provveduto a demolirla. Ma tant’è.
Eppure qualcosa di quell’esperienza d’insegnamento è sopravvissuta. Si tratta delle riunioni a distanza, cioè dei collegi dei docenti o dei consigli di classe, che continuano ad avvenire in molti casi in videochiamata. Si obietterà che tali riunioni non hanno direttamente una valenza didattica, in quanto esse riguardano temi di lavoro e inoltre si svolgono tra colleghi. Ma, anche se considerate come semplici riunioni lavorative a distanza, esse presentano alcune controindicazioni, particolarmente in relazione all’attenzione dei partecipanti e alla loro efficacia.
Certamente l’attenzione è un dato soggettivo che dipende da molteplici variabili attinenti alla persona, le quali hanno a che fare con l’interesse verso i temi della riunione, con le eventuali conseguenze delle delibere sul proprio lavoro, con la serenità personale e la predisposizione all’ascolto, ecc. Tuttavia vi sono ambienti nei quali la concentrazione e la partecipazione sono favorite e altri in cui vengono penalizzate. Il contesto domestico, che usualmente accoglie i docenti per le videochiamate, non è sicuramente tra quelli che promuovono l’efficacia di tali attività. Certamente esso offre molte comodità e, fra le altre, quella di poter svolgere contemporaneamente altre attività, a video disconnesso (quante volte ho sentito dire: “La linea non regge, è meglio che disattivi il video…”). Inoltre non sempre l’abitazione è il teatro delle video-riunioni. Nel corso della mia esperienza di dirigente, ho avuto esperienza di connessioni attivate dai luoghi più inopportuni. Vorrei evitare di essere tacciato di malanimo, ma forse il lettore ha necessità di capire a cosa alludo. Ebbene, alcuni video, nei lampi momentanei della loro attivazione, hanno rivelato, per esempio, la presenza di chi si connetteva in auto o in spiaggia, oppure ancora in contesti dove si svolgevano altre attività lavorative.
Tuttavia, le distorsioni delle videocall non sono solamente frutto di un cattivo uso, ma derivano soprattutto dai limiti inerenti alla tecnologia stessa. La disamina dei temi all’ordine del giorno di una seduta del collegio, particolarmente nei momenti in cui il dibattito pedagogico si eleva, richiede da parte dei docenti concentrazione e riflessività. Occorre altresì la capacità di ponderare opportunamente le proprie posizioni e – come suggeriscono alcuni studi di neuroscienze – di non prendere posizione o controbattere in maniera immediata. Questo – come suggerisce in una recente intervista Luigi Zoia – non sempre accade quando la discussione avviene tramite Internet, dove ciò che conta è la rapidità e la nettezza, talvolta aggressiva, delle risposte. In un sistema di comunicazione telematica, che premia i tempi sempre più brevi, le videochiamate non rispondono alle esigenze di approfondimento del lavoro educativo.
Se vogliamo rendere la scuola più autorevole, non è sufficiente contrastare l’uso dei telefonini da parte degli alunni, ma occorre anche restituire serietà al lavoro docente.
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