Si sono chiusi da qualche giorno gli esami di Stato del primo ciclo. Si tratta di un momento importante non solo per la vita dei ragazzi direttamente coinvolti, che chiudono un percorso di studi, ma anche per tutti i protagonisti del mondo della scuola, perché questo evento conclusivo, se non è ridotto a un vuoto formalismo, comunica le priorità e il senso dell’insegnamento-apprendimento di un’istituzione scolastica.



L’esame ha a riferimento “il profilo finale dello studente secondo le Indicazioni nazionali per il curricolo, con particolare attenzione alla capacità di argomentazione, di risoluzione di problemi, di pensiero critico e riflessivo, nonché sul livello di padronanza delle competenze di educazione civica, così recita il decreto 52 del 3 marzo 2021. Lo stesso documento precisa che l’esame consta di una prova orale e prevede la realizzazione e la presentazione di un elaborato, la cui tematica:



a) è individuata per ciascun alunno tenendo conto delle caratteristiche personali e dei livelli di competenza;

b) consente l’impiego di conoscenze, abilità e competenze acquisite sia nell’ambito del percorso di studi, sia in contesti di vita personale, in una logica di integrazione tra gli apprendimenti (art. 3, comma 2).

Nella scuola che dirigo il percorso proposto agli studenti per la costruzione dell’elaborato ha messo al centro la ricerca del proprio talento, attraverso una riflessione sui tre anni di scuola e quindi sul senso delle discipline come strumenti per conoscere il reale e per crescere nella consapevolezza del valore dell’io e del suo posto nel mondo.



Gli studenti hanno raccontato alla commissione come la scuola attraverso lo studio delle diverse discipline, la scelta dei laboratori opzionali, gli incontri con esperti e personalità significative, le tematiche e le esperienze legate all’educazione civica abbia contribuito alla costruzione della loro personalità e quindi alla scoperta del talento.

In alcuni casi si è assistito alla narrazione critica e argomentata del percorso scolastico, dell’iter con cui si è scelta la scuola secondaria di secondo grado. In queste circostanze è apparso evidente e chiaro che cosa si intenda dire quando si parla del valore orientativo di quella che un tempo veniva chiamata “scuola media”.

In altri casi gli studenti, con diversi livelli di competenza, hanno narrato la scoperta della passione per la fotografia durante il lockdown, la consapevolezza del valore della matematica, dopo aver ascoltato a scuola gli interventi di alcune giovani ricercatrici in una giornata dedicata alle Stem al femminile.

Molti hanno illustrato l’importanza dello studio delle lingue straniere e dei moduli Clil proposti nel triennio. Qualcuno ha incluso nel suo elaborato un testo in cui ha raccontato un vissuto di sofferenza da cui traspare una ricerca di senso che ha interpellato tutti gli adulti presenti.

Non tutti i ragazzi sono riusciti a esplicitare con chiarezza il loro talento, a ricostruire il percorso triennale, a cogliere il nesso tra le discipline e la conoscenza del reale, ma certamente tutti si sono interrogati sul senso dello stare a scuola, sulla necessità di essere protagonisti attivi nel cammino della conoscenza.

La costruzione di questo elaborato ha consentito di liberarsi definitivamente dall’idea di una “tesina” che vorrebbe essere interdisciplinare, come spesso è accaduto in passato, ma che in realtà accosta semplicemente argomenti di studio, cercando di legarli con connessioni che sono solo giustapposizioni sommarie, per non dire “grossolane”.

La vera interdisciplinarietà si persegue infatti solo nella consapevolezza che le discipline, nel rispetto del loro statuto epistemologico, sono strumenti per conoscere la complessità e la ricchezza del reale, così come viene trasmesso dalla tradizione culturale. Si tratta ovviamente di una consapevolezza che non può avere un adolescente, anche se può essere suggerita da un docente appassionato che introduca progressivamente lo studente nella sua “bottega di lavoro”. Un docente che, in sede d’esame, sa che il colloquio ha come finalità non quella di accertare contenuti, anche perché nel passato scolastico non sono certo mancate occasioni per raggiungere questo obiettivo, quanto di documentare l’acquisizione delle competenze incluse nel profilo finale dello studente secondo le Indicazioni nazionali.

Docenti che hanno avuto un compito fondamentale nel sostenere i ragazzi nella scelta della tematica dell’elaborato e nella sua costruzione. Si tratta di una modalità virtuosa del processo insegnamento-apprendimento, all’interno del quale il maestro conduce l’allievo nella costruzione di un lavoro personale e ne suggerisce le possibilità di approfondimento e di progressiva articolazione.

All’interno di questo contesto lo studente è educato a comprendere le caratteristiche di un reale e sostanziale processo di apprendimento.

A chi scrive sembra però che si aprano, a partire da questa esperienza, altre piste di riflessione che a ritroso consentono di interrogarsi sulle modalità del fare scuola. Si potrebbero sinteticamente esprimere come segue.

1) La prova d’esame potrebbe essere il paradigma della normale attività di insegnamento, che non può avere come sua preoccupazione fondamentale l’accumulo di contenuti, quanto l’acquisizione delle competenze delineate nel profilo finale dello studente secondo le Indicazioni nazionali per il curricolo. Obiettivo che non contrasta con l’acquisizione di contenuti, si tratta semplicemente di saper scegliere quali contenuti siano più significativi ed essenziali per arrivare al traguardo.

2) Non c’è esperienza reale e duratura di apprendimento senza la ricerca e l’attuazione di percorsi personalizzati. Come si è scritto in altre occasioni su queste pagine, occorre superare l’idea di un alunno medio e di un livello di apprendimento standard, semplicemente perché si tratta di due astrazioni, che non hanno alcun corrispettivo nella realtà. “Medietà” e standardizzazione hanno condotto e conducono solo al progressivo abbassamento dei livelli di apprendimento e alla demotivazione. La motivazione cresce infatti solo quando l’interesse, gli stili di apprendimento e i differenti metodi di studio vengono valorizzati e messi alla prova in un lavoro che sia sfidante per l’intelligenza e per le singolarità degli studenti.

3) Durante i colloqui d’esame alcuni ragazzi hanno raccontato delle esperienze durante la Dad, dei rapporti di amicizia all’interno della classe, di come abbiano cercato di lavorare insieme anche da remoto. Queste narrazioni e, a volte anche gli sguardi, suggeriscono la centralità delle non cognitive skills nel processo di apprendimento. La scuola non può perdere l’occasione, anche a seguito di quanto è accaduto durante il periodo della pandemia, di perseguire nella strutturazione dei curricoli e nella quotidiana attività didattica la sinergia tra cognitive e non cognitive skills. Gli studenti che hanno saputo raccontarsi, interrogarsi, che hanno evidenziato capacità critiche spesso sono ragazzi che hanno una maggior maturità nelle character skills.

4) La metodologia didattica deve necessariamente superare l’approccio della lezione trasmissiva, favorendo pratiche in cui lo spirito euristico sia il motore per introdurre lo studente nell’avventura della conoscenza. Un ragazzo riesce a costruire un elaborato originale, personale e valido solo se nel suo percorso scolastico si è messo in gioco in reali percorsi di ricerca, se ha fatto esperienze di apprendimento non come replicazione di conoscenze, ma come conquista personale attraverso la progressiva crescita di competenze argomentative, di problem solving, di spirito critico.

5) In diversi colloqui i ragazzi hanno fatto riferimento a esperienze dell’extra scuola: sport a livelli agonistici, frequenza di corsi, scoperta di una passione o di un talento che in alcuni casi ha avuto come tramite un volto, una persona incontrata fuori dalle mura scolastiche. Senza disconoscere il valore della scuola, che ha un preciso e insostituibile mandato costituzionale, si tratta di accogliere e favorire tutte le occasioni per la scoperta e la crescita dei diversi talenti in sinergia tra scuola ed extra-scuola.

6) Il percorso è stato valutato in un’ottica formativa attribuendo valore anche al processo di costruzione dell’elaborato e non esclusivamente alla sua realizzazione finale. Così dovrebbe essere per la quotidiana attività didattica: un compito è sempre perfettibile, l’errore è una risorsa per crescere nel cammino dell’apprendimento, la conoscenza è un cammino di progressivo approfondimento, di crescita di nessi significativi. La valutazione formativa attesta nel tempo le conquiste dell’apprendimento guidato dai docenti.

Non si è voluto in queste brevi note entrare nel dibattito sulla modalità con cui si è realizzato l’esame di Stato in questo anno, sull’opportunità o meno dell’abolizione delle prove scritte, sulla possibilità che questa modalità possa replicarsi anche negli anni a venire.

Si è voluto semplicemente sottolineare che l’esperienza dell’apprendimento diventa possibile solo quando lo studente è protagonista del cammino dell’imparare, quando la conoscenza non è replicazione di contenuti, ma acquisizione critica e quando le discipline sono concepite come strumenti di conoscenza della realtà.

Anche un esame di Stato allora diventa un’occasione per dire “io”, per dare voce al proprio talento davanti ad una commissione che interroga, nel senso di un chiedere (rogare) nel mezzo (inter) di un cammino di conoscenza accompagnato dalla professionalità dei docenti.

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