Caro collega che, quando ti sussurro che i ragazzi arrancano, obietti che “ai tempi nostri” noi invece ce la facevamo, che loro si devono abituare e che all’università sbatteranno contro un muro: il tuo orologio mentale si è fermato al millennio scorso. Certo, borbotti che i prerequisiti di base nel frattempo siano peggiorati, però, a parte qualche ridimensionamento quantitativo, spieghi, assegni, interroghi e metti i voti, come ai tempi nostri.
Ai tempi nostri tuttavia, per dirne solo qualcuna, i mondiali di calcio – come i test d’ingresso a medicina – si disputavano d’estate anziché nel pieno dell’anno, la prima serata televisiva iniziava alle 20:30 anziché alle 21:45 e il sonno non era la variante opzionale di Netflix.
Ai tempi nostri i barbieri erano chiusi il lunedì, gli alimentari il giovedì, tutti la domenica, mentre adesso la domenica sono aperte anche le scuole, e tra mail, chat e ossessioni derivanti la reperibilità h24 ha cancellato perfino l’idea di tempo libero.
Ai tempi nostri un sussidiario e un libro di lettura bastavano e avanzavano, mentre adesso i libri di un solo anno delle elementari sono di più di quelli che usavamo per l’intero quinquennio, sebbene non sembra che nel frattempo i megabyte a disposizione del cervello umano siano aumentati.
Ai tempi nostri le poesie che imparavamo erano le stesse che le nostre mamme sapevano ancora a memoria: “La nebbia agl’irti colli”, “Ei fu. Siccome immobile”, “Me ne andavo una mattina a spigolare”. Ora ingurgitano roba usa e getta, moraleggiante e aritmica, che non appartiene alla memoria di alcun popolo, che noi non abbiamo mai sentito e che dopo una settimana non ricordano più nemmeno loro.
Ai tempi nostri alle elementari (e perfino al biennio del liceo) si usciva alle 12, non alle 14, men che meno alle 16 per fare educazione fisica come settima e ottava ora senza una pausa né un pranzo e con la prospettiva al rientro dei compiti per il giorno successivo.
Ai nostri tempi tra gli indistinguibili caratteri del Rocci o nel Salinari-Ricci di italiano o nel Desideri di storia non abbiamo mai visto un colore né una domandina né un’analisi del testo: ogni pagina era una bomba calorica di testi e interpretazioni storiografiche. Non sembra che nel frattempo i neuroni a disposizione del cervello umano siano diminuiti: semplicemente, gli attuali manualetti arcobalenati, dato che l’uva era alta, l’hanno dichiarata acerba, e imitando i collegamenti ipertestuali del web hanno inferto il colpo di grazia definitivo alla pazienza cognitiva. Risultato: molte più cose, sempre meno profonde e più spezzettate, scollate da qualsiasi visione d’insieme, impossibili da trattenere. Rintronati dall’idea di dover stare al passo con i tempi, abbiamo preso i problemi e, guardandoci bene dall’affrontarli, li abbiamo magicamente trasformati in soluzioni: visto che gli alunni tendevano a semplificare, l’abbiamo fatta definitivamente semplicistica (noi sempliciotti) e buonanotte.
Ai tempi nostri non eravamo invasi da (così tanti) Peter Pan illusi di cambiare la scuola con iPad, debate, flipped classroom, Power Point, googlate, resilienze e altri travestimenti gattopardeschi: è vero che gli studenti si coinvolgono più con Kahoot che studiando il complemento di causa efficiente, ma se è per questo si coinvolgerebbero ancor di più cantando Bellissima o strafocando una focaccia. Tra pachidermi e molluschi, tra ingessati e invertebrati è una bella sfida.
Ai tempi nostri non esisteva una generazione completamente drogata di telefono: adesso un adolescente dovrebbe avere troppa pietà per perdonare il rincoglionimento da smartphone dei genitori.
Ai tempi nostri non esisteva internet e neppure approcci didattici che lo scimmiottavano. La dopamina era un po’ meno e la capacità di abitare l’istante maggiore. E ora tu pretendi che questi fanciulli iperstimolati rimangano due ore incollati alla sedia a tradurre una versione di latino o a leggere un capitolo di Manzoni? vorresti insegnare nessi causa-effetto a chi ha sempre conosciuto il mondo come discontinuo agglomerato di frammenti simultanei? inculcare il senso storico a chi vede evaporare le storie sui social dopo uno scampolo di ore?
Ai tempi nostri non si procedeva a scatti. Giunta l’epoca dei quiz a risposta multipla al posto dei temi, abbiamo plasmato una mente asintattica, e volendoli tutti centometristi ora ci meravigliamo che non siano mezzofondisti e che barcollino fra singhiozzi e sfiancamenti precoci.
Ai tempi nostri non avevamo necessità di fare 90 ore di Pcto né di partecipare ai Ptof né di vincere il B1 di inglese. Per questo qualcuno di noi riusciva ad anticipare i compiti: loro non possono. Il sabato andavamo a scuola; adesso sull’altare del sacro weekend abbiamo immolato la loro sanità mentale, e pretendiamo che, oltre alle 6 materie per il giorno successivo, se ne anticipino altre due o tre: 9 materie!?! Non riescono a farne 6 e neanche 5 e neanche 4 e neanche 3 (parecchi neanche una).
Ai tempi nostri alcuni addirittura leggevano: loro a quale ora della notte potrebbero? È la scuola a ostacolarli, schiacciandoli all’angolo, dove qualsiasi rapporto e passione è un lusso, che possono coltivare solo gli strafottenti o gli eroi.
Ai tempi nostri il pomeriggio giocavamo a pallone: e non dalle 16:15 alle 17:45 tre giorni alla settimana, ma fino all’infinito e oltre. Sotto casa avevi la percezione di un tempo illimitato, che cominciava dopo la controra e terminava quando le mamme si affacciavano per ululare che era pronta la cena. Tendenzialmente non ci cadevano addosso tante aspettative da campioncini o da genietti. Esistevamo, ed era ovvio che non funzionassimo né in campo né a scuola.
Ai tempi nostri prendere 2 e 3 era pane quotidiano, però i voti non ci impallinavano a getto continuo attraverso le notifiche del registro elettronico: a casa ne venivano informati ogni due mesi, ai colloqui e alle pagelle. Qualcuno veniva menato, ma una volta sola, mentre adesso il nervosismo è un sottofondo continuo, che può deflagrare a mezzanotte di un giorno qualunque, quando tua mamma, brandendo il telefono con l’ultimo 5, minaccia di toglierti la pallavolo alla prossima insufficienza, che magari spunta venti minuti dopo, con le conseguenti polemiche sui gruppi WhatsApp, richieste di nullaosta, appuntamenti dallo psicologo.
Ai tempi nostri qualcuno occasionalmente marinava la scuola e se ne andava a limonare; adesso moltissimi si assentano da scuola abitualmente per rimanere a casa a studiare.
Ai tempi nostri quasi tutti abitavamo in una sola casa; adesso moltissimi abitano il lunedì da mamma e il martedì da papà.
Ai tempi nostri c’era chi ci dava dei debosciati, proprio come noi facciamo con loro: la decadenza dei tempi è un paradigma interpretativo prima che un fatto storico.
Ai tempi nostri esisteva il culto dell’apparenza: all’ingresso degli insegnanti ci alzavamo in piedi; sotto l’apparenza non c’era sostanza, ma solo lo schifo che si faceva di nascosto. Adesso è la verità a essere vergognosamente relegata in momenti clandestini, mentre su Instagram ci si gloria di essersi spaccati di vodka, e pazienza se mamma ti vede (anche perché spesso pure mamma si spacca di vodka e di Instagram).
Ai tempi nostri i professori facevano lezione e basta, infischiandosene di come ci sentivamo, al contrario di… no, esattamente come oggi. In genere avevamo più compagni di strada, mentre ora è facilissimo crescere come bolle, monadi, fragilissimi davanti ai Moloch del potere e della performance, con un modello didattico assolutamente inadeguato rispetto allo stile di apprendimento, stritolati da una discrasia spaventosa fra la mole delle richieste e la portata del ponte, fra la tipologia dei compiti e la propria struttura mentale.
Ai tempi nostri come in questi tempi c’è bisogno che qualcuno non abbia paura di domande tremende, quando si accorge che tutto ciò che è cambiato fuori significa che qualcosa è cambiato anche dentro. È francamente assurdo che proprio chi ieri ha fatto danni oggi si permetta pure di fare il nostalgico. Il futuro che immaginate lo conosciamo già: è il cimitero del vostro passato. Abbiate il coraggio di guardare in faccia questo presente, questi ragazzi presenti. Se vogliamo essere contemporanei, si tratta di smantellare il format che gira a vuoto e di amare nientemeno che la verità, per usare il vetusto parolone dei greci e dei medievali. Una generazione ferita, che c’è, cerca una generazione commossa, se c’è: sicut erat in principio et nunc et semper.
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