Qui, lontano dal mare e dalla montagna; qui, in questa pianura sempre più uguale ai tropici, potrebbero valere le parole del poeta australiano Les Murray: “il caldo aumenta senza posa, è il tempo del burro sciolto, il tempo dei vestiti attaccaticci;/ l’erba si copre di paglia; spiriti gremiscono le cose abbandonate”. Insieme a lui, spero sempre che il cielo trovi acqua da mandare giù, ma senza esagerare, senza “asteriscare auto o devastare pomodori”.
In questa nuova terra desolata, qualche mamma con bambini al seguito, qualche giovane spiantato dottorando, qualche speranzosa neolaureata devono compilare le loro domande di supplenza, scegliere le 20 scuole in cui vorrebbero ricevere un incarico. Con metodo e oculatezza, mettendo in ordine decrescente le loro preferenze. Mentre aspettano i corsi abilitanti a cui hanno avuto il diritto di partecipare avendo superato brillantemente il concorso.
Lo so, non è molto chiaro. Non lo è nemmeno per me che ricevo la telefonata di Margherita che, dopo avermi spiegato il suo itinerario concorsuale (dice proprio così!), mi chiede notizie sulle scuole medie di questa Milano subsahariana che dovrei conoscere meglio di lei. Le suggerisco questa o quella scuola con criteri magari discutibili: questa sì perché ci lavora una brava collega; questa anche, perché c’è ancora un preside che si ricorda di esserlo; quest’altra ancora sì perché, quando ci sono stato come presidente di commissione d’esame, ho visto ragazzi e ragazze capaci, frutto forse di professori che li hanno saputi appassionare allo studio, alla lettura. Poche cose, insomma. Niente riferimenti a dotazioni, reti, strutture, progetti.
Forse un po’ delusa da questi miei asciutti suggerimenti, Margherita mi ha poi spiegato che i corsi inizialmente tratteranno – o già trattano? Confesso di non avere capito bene neanche questo – i temi dell’inclusione e della legislazione: naturalmente si dà per scontato che questi giovani insegnanti conoscano la materia che andranno ad insegnare e quindi a loro si parlerà d’altro, innanzitutto.
Ha aggiunto ancora che, oltre a tutto ciò, ci sarà un periodo di tirocinio da effettuarsi in altra scuola da quella in cui potrebbe avere l’incarico di supplenza. Facendo quindi due conti: Margherita ha vinto un concorso, farà corsi – a pagamento – per abilitarsi, svolgerà nel frattempo un tirocinio presso non sa che scuola e con quali formatori, mentre ogni mattina entrerà nella sua classe come supplente, cosa per la quale è ritenuta naturalmente idonea, visto che le daranno probabilmente l’incarico. Lascio Margherita al caldo del pomeriggio e alla compilazione delle sue domande: niente di nuovo sotto il sole, penso.
Anzi, no: anche nella scuola, come in questa pianura, sembra che il clima stia cambiando, che il caldo aumenti senza posa. Che tutto cospiri a dimenticare l’essenziale, che le parole con cui descriviamo le cose ormai dimenticano le cose; che le cose della scuola non abbiano più alcun rapporto con chi la scuola la fa e la vive. Ci sono esempi ogni giorno di questo, anche in questo tempo di vacanza. Vuoi vedere che succede come nella boxe? Pare che nel 2028 a Los Angeles verrà tolta dal programma olimpico. Perché troppi sono gli scandali nei verdetti degli incontri, perché le diverse federazioni non sono in grado di scegliere criteri comuni, e chissà per che cos’altro che noi non sappiamo. Ci saranno lo skate e anche la break dance, con quale oggettività nel giudizio non si sa. Ci saranno il cricket, le bmx, lo squash e il flag football, ma non la boxe. Troppi problemi con la boxe, adesso anche di genere.
Forse qualcuno potrebbe cominciare a pensarlo anche per la scuola: se non si è capaci di valutare, se non si sa come riformulare l’esame di maturità, se non si è in grado di preparare gli insegnanti, se non si riesce a migliorare i dati Invalsi, a rientrare nei parametri OCSE o PISA ecc. ecc., si chiuda la baracca. E forse tante proposte per riformare la scuola vanno proprio in questa direzione.
Io però sto ancora con Les Murray – chissà chi lo conosce tra le giovani professoresse che affronteranno corsi e tirocinii, tra i formatori che questi corsi terranno. Dice così il poeta australiano: “Niente è detto finché non è tutto sognato in parole/ e niente è vero che solo in parole consista”. Con lui ci piacerebbe fare esperienza di un “arcobaleno perfettamente normale”: di una scuola miracolosamente viva, anche se fragile, debole, provvisoria. Come la realtà che ci commuove sempre, diceva Simone Riva su queste pagine. Non c’è niente di meno perfetto, di meno normale dell’arcobaleno del poeta. Ma è di questo che abbiamo bisogno: di quella che don Bosco chiamava la “carità pedagogica”. Della realtà ad oltranza, direi io, con il poeta e con tutti gli uomini che ancora sanno commuoversi davanti a un arcobaleno, o a un bambino che diventa uomo a furia di mettersi in tasca e poi non sapere più nemmeno dove metterla tutta la realtà, tutto il bene che gli gira intorno.
Ecco, Margherita, chiedi al corso che si ricominci da qui. Non c’è niente di più inclusivo, non c’è nessuna legge più grande di questa: un “arcobaleno perfettamente normale”. Ogni mattina, andando a scuola, è questo che occorre incontrare. È a questo che ogni scuola dovrebbe sempre più assomigliare. Ciascuna a suo modo, perché nessun arcobaleno è uguale ad un altro.
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