Cosa sta accadendo agli studenti finalmente liberati dall’isolamento, dall’apprendimento a distanza estraniante e difficoltoso? Il ritorno alla vita reale, fra i compagni e gli insegnanti in carne ed ossa, fortemente auspicato e promettente, sta rivelando però qualche disagio, una sorta di disorientamento, di disaffezione a un impegno che di fatto, per un lungo periodo, era stato “distante”, frammentato e aleatorio.



Pur in un clima di soddisfazione per il rientro a scuola, per il recupero di relazioni e momenti di condivisione, gli studenti sembrano in difficoltà quando si tratta di assumere un’iniziativa personale e trovare le energie per applicarsi nello studio. È questa una percezione diffusa fra i docenti che si stanno interrogando sul disagio, quasi l’esigenza di un riadattamento ai ritmi di vita da riorganizzare con un coinvolgimento più deciso.



A ben vedere, la lunga parentesi della Dad ha probabilmente aggravato una difficoltà che anche prima della pandemia non era del tutto assente e che oggi di fronte a una ripresa, un nuovo inizio, affiora con tutto il suo insostenibile peso.

“Come va? Come state vivendo questa ripresa della scuola?” ha chiesto un insegnante alla scolaresca dopo i primi giorni. “Non vedo l’ora che finisca al più presto” è stata la pronta risposta di una ragazza. Un moto di insofferenza così tagliente sembra rivelare la volontà di una provocazione, di dar voce al peso e alla frustrazione già provate in passato, sopportate e sottaciute, che oggi tornano a galla prorompenti. E sarebbe probabilmente un errore considerare la fragilità di motivazioni allo studio, il disorientamento e le difficoltà che ne conseguono, come un fenomeno inedito, da collegare unicamente alla lunga e alienante parentesi pandemica. In fondo, la nota piaga della “dispersione” di giovani che abbandonano la scuola privi di un progetto sul loro domani non è che l’ultimo esito di un sistema formativo cronicamente segnato da inadeguatezze e disfunzioni.



Una conferma eclatante sul fatto che la scuola arranca da tempo in ataviche inefficienze trova argomenti solidi nel recente libro di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi “Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza” (La nave di Teseo).

“Per molto tempo ho pensato che i miei allievi in difficoltà non studiassero abbastanza, che avessero sempre studiato troppo poco. E che fosse per mancanza d’interesse, inerzia, indolenza, o scarsa capacità. La sostanza era vera (studiavano poco), ma la causa era sbagliata: studiavano poco perché non avevano le basi”. Così la Mastrocola dipinge il contesto della scuola superiore in seguito all’istituzione della scuola media unica, descrivendo le gravi difficoltà, il senso di svogliatezza e frustrazione inevitabili quando “lo studio non poggia su niente”.

Una denuncia coraggiosa, che chiede di riprendere in considerazione le istanze di chi nell’avventura educativa desidera riconoscere e sperimentare il gusto e l’efficacia dell’imparare.

Quel che sembra urgente mettere a tema, in un sistema sempre più imbrigliato in procedure burocratiche e direttive spesso aliene dai problemi reali, è la questione educativa, vale a dire il dinamismo di un rapporto umano, di un incontro significativo docenti-studenti che rappresenti un’occasione, un’opportunità di crescita, di scoperta, di apprendimento di un “sapere” che tocca le corde dell’interesse, convince e appassiona allo studio incrementando l’impegno con la realtà.

Può sembrare utopia, ma non lo è: nonostante i condizionamenti, il peso delle direttive “dall’alto” che spesso sovraccaricano il lavoro rischiando di tarpare le ali a iniziative “dal basso”, molti insegnanti continuano puntando all’essenziale, al vero fulcro della professione. “Entrare in classe è sempre un evento significativo” ammette un docente di un liceo scientifico indicando il fattore umano come aspetto decisivo per non cadere nella “catena di montaggio” di valutazioni delle performance e di adempimenti che sviano le energie dagli obiettivi didattici ed educativi.

“Sono più di trent’anni che insegno e scopro sempre qualcosa di nuovo. Leggo una domanda di senso sui volti degli studenti, mi lascio provocare iniziando un pezzo di cammino con loro. Suscitare un interesse attraverso gli argomenti di insegnamento è sempre una soddisfazione.  Non succede sempre, a volte vedo facce annoiate, sguardi persi nel vuoto… Vedo la loro fatica di vivere, la loro dipendenza da una vibrazione del cellulare, da un messaggio che non si vede l’ora di leggere” racconta, notando che anche la noia, anche la distrazione facile nei ragazzi che difficilmente si staccano da un mondo virtuale parallelo a quello reale, sono condizioni da guardare, che possono suscitare nuove domande, generare anche negli stessi ragazzi la voglia di capire, di indagare e studiare” assicura il prof che si autodefinisce uno dei tanti che non perdono una verificata e tenace passione educativa, pur sotto la soffocante cappa di un apparato che, nonostante i numerosi tentativi di innovazione, resta distante dalle sue fondamentali finalità.

Distante dai ragazzi, dai loro sguardi carichi di domande e di attese che sarebbe imperdonabile disertare.

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