Ci siamo, prossimi all’avvio di un nuovo anno scolastico si racimolano le ultime energie per poter affrontare nuovi colleghi, nuovi dirigenti e stessi contesti, solite scartoffie burocratiche e, certo, ne dimenticavo, nuovi alunni, nuovi volti, nuove vite. Per fortuna ci sono loro. È finito il tempo in cui “l’alunno è al centro delle attenzioni di una scuola”. Carne da… progetti! Entità per impostare nuove (?) idee progettuali, nuove (?) unità didattiche, nuovi (?) corsi. Ma per fortuna ci sono loro. Rimettersi in gioco anno dopo anno scalfisce, invade, plasma le vite dei docenti che, chi più chi meno, ne accolgono la beltà. Questo salva, questo sostiene, questo appassiona. Alunni imbrattati di desiderio di sapere, di volontà nell’essere in classe, non tutti per la verità, ma l’attesa di una sorpresa, questa sì che si legge negli occhi di chi aspetta il primo giorno di scuola per cominciare, per essere considerato, abbracciato, guardato negli occhi.



Professò, ma che faremo quest’anno? E quel prof. ci sarà ancora? E quell’altro?” E i genitori che chiamano perché il figlio “adda sta nella sezione migliore, con i migliori professori, mi raccomando”, che sa tanto di minaccia perché, poi, se non accade? Da molto tempo ormai quando si parla di scuola necessariamente si finisce per screditare, ingiuriare, infangare un luogo, un contesto che, sia pure in crisi, resta un luogo privilegiato in cui il ragazzo, ma anche l’adulto insegnante, hanno l’opportunità di crescere o, peggio, far crescere solo il proprio fascicolo personale zeppo di attestati, certificati e quant’altro. Certo, anche di porre le basi per strutturare l’io, la coscienza, il pensiero, la persona. Evidentemente se la scuola è in crisi il problema non è propriamente suo ma di qualcosa che viene prima.



La scuola è come l’arte, è specchio dei tempi. Lì si concentrano quelle che sono le mancanze di una società, le crisi di umanità, le difficoltà di una famiglia ormai agli sgoccioli. Ma la scuola rimane ancora un coacervo di possibilità.

Anche la mancanza di un quadro di regole definito e chiaro influisce nella decadenza della scuola come istituzione di riferimento. Nondimeno la scuola è e permane nella sua valenza educativa, unica. “L’essere con”, l’affermazione apparentemente astratta o volutamente incomprensibile di una relazione, in un mondo in cui “tutto cospira a tacere di noi” (Rilke), fondamentalmente salva la scuola. Essere dentro i rapporti, dentro i dialoghi con i colleghi con gli alunni, questo sostiene. La scuola è in crisi, va in crisi quando la percezione di sé si perde nei meandri della burocrazia e si pone la certezza nell’individualismo del nostro insegnare. Non solo: quando purtroppo la legge, il diktat di certe esasperazioni, l’imporre certe vacue modalità di rapporto s’impone per garantire un ordine su un dialogo, un confronto, un ascolto, allora gli spazi di umanità tardano ad emergere.



Ma non può, non deve essere così; e non possiamo continuare a piangerci addosso solo perché il ministro di turno adotta un criterio o l’altro. La scuola come luogo di incontro (perché è solo così che può essere intesa) oltre che di crescita e di conoscenza, deve diventare necessariamente luogo privilegiato per la scoperta di sé, ancor prima del tentativo “missionario” di salvare il mondo o la scuola stessa.

Occorre scoprirsi in azione, lavorare su di sé per proporre una modalità di conoscenza, mettere in crisi gli alunni non attraverso un sapere ma attraverso un giudizio sul sapere stesso, sulla conoscenza, sulla metodologia adeguata; proporre il senso di ciò che si studia. Non basta lo studio in sé per sé, occorre amarlo. Ma tutto questo non è facile né scontato.

E il nostro compito di docenti, dentro le difficoltà imprevedibili dell’oggi e senza la pretesa di facili soluzioni, continua ad essere quello di educare istruendo, di far riaccadere lo stupore per la conoscenza dentro l’ora di lezione, con tutta la nostra umanità e la capacità di instaurare relazioni significative e di cura che allevino i molteplici disagi di una pandemia culturale. Tale riduzione di pensiero, come ha ricordato più volte Recalcati, non produrrà una “generazione Covid” a condizione che noi adulti, anche tra le mura scolastiche, accompagniamo i giovani a vedere come la realtà può esserci maestra anche tra le complessità del vivere, e come anche la mancanza di un bene possa generare desiderio, aprire la coscienza alle domande esistenziali più profonde e perfino generare un nuovo cammino umano.

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