C’era una volta, nell’industriosa, fiorente Brianza una giovane insegnante di nome Alice. Detta così sembrerebbe una fiaba. Ma Alice, che abita davvero nella laboriosa Brianza, è la mia giovane collega, mica un personaggio da fiaba. Anche se, ascoltando il suo racconto, verrebbe proprio da pensare che la realtà, oggi, è più fantasiosa delle fiabe.
Alice, come ho già scritto altrove, ogni santissimo giorno, entrando a scuola sospira una frase – come una specie di mantra – in cui esprime il suo desiderio: “vorrei insegnare”, magari con in mezzo ai due verbi un anche, a rendere meno pretenziosa la sua richiesta.
Ma ad Alice capita anche di avere un figlio che deve andare alla scuola primaria. E così per qualche settimana si trova catapultata dall’altra parte della barricata. Mamma giustamente interessata al futuro scolastico del figlio, frequenta open day dalle 10 del mattino alla mezzanotte – perché qualche scuola si è inventata l’open night: vuoi mettere? Tutti organizzano open day, ma di open night nemmeno l’ombra. E forse un motivo c’è.
Fatto sta che la mia giovane collega più che essere Alice nel paese delle meraviglie, rischia di diventare Cenerentola al ballo del principe. Non demorde, lascia i quaderni con i compiti dei suoi alunni da correggere, i piatti dentro il lavandino – che tanto poi li laviamo domani – i figli dalla mamma, e con il marito ne gira un po’ di queste feste sciagurate. In scuole pubbliche paritarie con motto in latino, scuole cooperative bilingue con pulmino con stemma fintomedievale, scuole statali con bandiere arcobaleno alle finestre.
Lei e il marito vengono accolti da maestre e dirigenti scolastici; qualche volta dagli alunni che con piglio sicuro illustrano la loro scuola; talvolta da file di sedie in ordine davanti a uno schermo su cui proiettano slide, video, interviste, tutto abilmente montato su pc e asetticamente mostrato ai genitori entusiasti.
Loro lo sono un po’ meno di fronte a questo scintillio di moderna tecnologia, all’elencazione di laboratori, progetti, attività extracurricolari. Del resto, Alice vorrebbe anche insegnare nella sua scuola e in fondo ne cerca una per suo figlio dove possa accadere che lui impari, perché qualcuno insegna.
Comincia a essere delusa, guarda sconsolata il marito, quasi le viene da tirare i remi in barca. Ma c’è ancora qualche scuola da visitare e prende coraggio, si iscrive all’ennesimo open day, come ci si iscrive appunto al gran ballo del principe ereditario.
Così entra in una scuola statale piccola, inquadrata dentro un comprensivo con tutte le sue carte in regola, ma con pochi lustrini e una signora cordiale e bonaria che dice di essere la dirigente scolastica e presenta la sua collega di religione che aprirà la serata di presentazione: niente pc, niente megaschermi, niente musiche d’accoglienza. E poi un’insegnante di religione – cosa piuttosto insolita – un sorriso e una voce: che sia questa la scuola giusta?
L’insegnante di religione si avvicina cordiale ai genitori presenti e innanzitutto li rassicura: “Sì, lo so, si chiama religione cattolica la materia che insegno. Ma non dovete temere: noi in questa scuola mica insegniamo a pregare. C’è anche l’ora alternativa alla religione cattolica, ma in verità chiunque di voi può tranquillamente iscriversi all’ora di religione. Che è, come tutta la nostra scuola, totalmente inclusiva: niente dogmi, e se qualche volta ci capita di parlare di Dio è perché magari la storia o l’arte ci costringono a farlo. Del resto abbiamo su tutto un approccio metodologico altamente inclusivo: quello a cui vogliamo portare i nostri ragazzi è una seria coscienza civile, quello a cui vogliamo indirizzarli è il rispetto di valori condivisi – che poi sono anche alla base del cristianesimo – come il rispetto della natura, degli animali e delle cose. Per questo abbiamo, soprattutto per i bimbi portatori di bisogni speciali, aree dedicate con orti e giardini in cui le parole diventano buone pratiche quotidiane”.
Alice guarda sconcertata suo marito: lavora anche lei in un comprensivo e sa che l’insegnamento della religione cattolica è regolamentato da un concordato, da accordi tra istituzioni, indicazioni didattiche condivise tra scuola e autorità ecclesiastiche. Possibile che si sia persa qualcosa?
In realtà la questione della religione non era neanche la prima delle sue preoccupazioni. Ma se in una scuola sono capaci di insegnare una cosa che in realtà è un’altra, che cosa potrebbe capitare al suo bambino? In quale buca è caduta Alice? Quale Regina di cuori ha riscritto la storia? Il Papa e i vescovi che chiedono coraggio alla Chiesa lo sanno che gli insegnanti di religione hanno il culto del cavolfiore e del pomodoro?
Alice non aspetta mica il coniglio che grida e ripete “Presto, che è tardi”. Viene via sconsolata. Le rimangono ancora due open day e una notte di mezzo. E spera che il suo brutto sogno finisca.
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