Se una scuola oggi, e penso in particolare a un liceo in Italia, detiene ancora un onore, questo è di certo l’enorme possibilità di porre i giovani a contatto con un passato in grado di parlare al nostro presente. Che, poi, è il senso di offrire loro la tradizione: quella eredità che, appunto, non è morta e sepolta, ma anzi, essendo vitale, può fornire una chiave di lettura del nostro presente.



Un amico collega mi ha fatto riflettere, ad esempio, su quanto sia decisivo per ogni giovane, nonché per gli adulti, maturare la certezza di essere amato e di avere una figura paterna di riferimento. Quanta sofferenza, al contrario, è causata dal dubbio, ovvero dalla negazione, di questa relazione!

Lo spunto del confronto con il mio amico è stato l’allestimento della Traviata di Giuseppe Verdi, andato in scena lo scorso inverno nella città dove insegno. Dopo avere invitato allo spettacolo le mie classi del triennio, e avere ricevuto non poche ed entusiastiche adesioni, vengo a sapere che la protagonista, Violetta, questa volta avrebbe compiuto “una scelta di genere”, che l’avrebbe resa una “transgender” in conflitto con la propria “doppia natura”. Così ho appreso dal sito del teatro lirico.



Dopo avere dato una piccola ripassata alla trama dell’opera con i miei studenti, abbiamo deciso di andare a vedere. Libretto originale di Francesco Maria Piave (1853), allestimento moderno stile locale disco e casa spartana tipo Ikea, un paio di scene piccanti – frutto di libera rielaborazione – con graziosa esibizione di due begli omoni con tacchi a spillo e frustino.

Tra tanti fasti, mi hanno folgorato alcune parole di Violetta, così che qualche giorno dopo sono andato a recuperare i passi dal libretto. Innanzitutto ho avuto la conferma che il dramma di lei – prostituta d’alto rango nella Parigi di metà Ottocento, che si innamora dal giovane Alfredo – sta proprio nell’assenza di un padre che la ami, quando lei stessa si definisce “Povera donna, sola abbandonata in questo popoloso deserto che appellano Parigi” (atto I, scena V), e ancora più quando dice a Germont, il padre di Alfredo, che non la vede di buon occhio: “Qual figlia m’abbracciate forte così sarò” (Atto II, scena V). Imprevedibile, tenerissima la risposta di Germont quando, a fine opera, si reca al capezzale di Violetta morente: “A stringervi qual figlia vengo al seno, o generosa” (Atto III, scena VII). Sublime, da lasciare senza parole, il testamento spirituale di Violetta che, dopo avere consegnato al suo Alfredo una propria immagine, gli dice che, se lui vorrà, potrà sposarsi con una donna che lo ami sinceramente: “Se una pudica vergine degli anni suoi nel fiore a te donasse il core, sposa ti sia lo vo’. Le porgi questa effigie: dille che dono ell’è di chi nel ciel tra gli angeli prega per lei, per te” (Atto III, scena VII). Dimostrazione di un amore tenace, puro, che nel momento della morte fa dire a Violetta che lei pregherà dal cielo per Alfredo e per sua moglie.



Ascoltando queste parole, non capisco perché il regista attualizzante dichiari (come si può leggere su vari siti) di avere voluto scardinare il finale “moralmente accomodante, in cui una sorta di Maddalena redenta ascende al cielo come una pudica vergine”. La conclusione dell’opera può piacere oppure no: ma non potremmo lasciar parlare Verdi? Il regista sostiene, scaltramente, che come all’epoca il personaggio di Violetta era quello di una prostituta ben nota, ed esibire allora il tema della prostituzione costituiva uno scandalo nella società borghese, così oggi la potenza scandalosa che scuote la coscienza imborghesita va individuata nel tema del gender. Io, però, non ho mai raccontato ai miei studenti che Didone, la regina di Cartagine di cui si innamora Enea, aveva compiuto una scelta di genere, per rendergliela più vicina. Credo che sia meglio insegnare loro a leggere bene Virgilio.

Se proprio si vuole attualizzare, perché non ci si prende la briga di scrivere un’opera ex novo, dicendo chiaro e tondo che essa è liberamente ispirata all’originale verdiano?

Il mio saggio amico, che oltre a essere professore di lettere è anche musicista, mi spiegava che oggi c’è, nel panorama artistico e culturale, una grande sfiducia verso il fatto che un’opera autentica possa attirare l’attenzione; è così difficile trovare una rappresentazione “pura e semplice” di Shakespeare, Mozart, Pirandello, …

Eppure, quanto si può imparare da una Traviata fedele a sé stessa! E quale attualità ne emerge! E quanto piace ai ragazzi! Dalla loro attenta partecipazione all’opera, a cui sono seguite due parole insieme, ho rivisto infranto il cliché dei giovani sempre-tutti-comunque apatici. Quando, da adulti e da insegnanti, c’è il coraggio di proporre qualcosa di alto e di valido, a volte gli animi si accendono.

Non si tratta, quindi, di essere passatisti o attualizzanti, ma di essere capaci – e per questo noi insegnanti dovremmo sempre formarci, studiando – di comprendere, e magari anche di far comprendere, l’attualità del nostro migliore passato. Meno male che noi prof abbiamo le vacanze estive per prepararci.

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