Con Salvini la politica torna a parlare di scuola e pone in ballo una questione di non poco conto, come quella dei tre mesi di interruzione scolastica del periodo estivo. “Tre mesi di pausa estiva sono un unicum a livello europeo” ha detto il vicepremier e ministro dei Trasporti. “Non tutti i genitori possono permettersi un periodo così lungo e anche per i ragazzi sarebbe meglio distribuire le pause durante l’anno”.
Poiché egli ha trattato un tema caldo (sotto tutti punti di vista), che caratterizza l’equilibrio del mestiere d’insegnante basato sull’equazione tra il basso stipendio, da un lato, e alcuni vantaggi dall’altro (ne abbiamo già scritto su queste pagine: è il “salario invisibile”), ben venga il suo intervento.
Quali vantaggi fanno da contrappeso riequilibrante alla scarsa sostanza economica? Citiamone alcuni: la sostanziale illicenziabilità, le inesistenti attese qualitative circa l’insegnamento e soprattutto un lungo periodo estivo di vacanze. Forse Salvini non si è reso conto della miscela esplosiva che maneggiava. Ovviamente il clima politico lascia intuire come alla base del suo ragionamento vi siano ragioni umane, talmente umane da avere una scadenza a giugno, con l’espletamento della tenzone europea. In altri termini, una proposta come quella di Salvini, mentre piace ai genitori, scontenta – e molto – gli insegnanti. Ma le parole hanno un senso ed esso chiede un riconoscimento. È vero, l’interruzione estiva rappresenta una quasi eccezione, in Europa, e andrebbe rivista.
Salvini ha parlato anche dei genitori che, lavorando, non possono permettersi di badare ai figli. La serietà di questo argomento va colta, perché effettivamente, dove non ci sono centri estivi per bambini (e questa è la situazione di gran parte d’Italia), le famiglie si trovano in ambasce. Avremmo preferito (ma non era cosa) che egli si concentrasse sul fatto che un’interruzione estiva di tre mesi nuoce ai bambini, i cui apprendimenti richiedono di progredire gradualmente, senza eccessive soste. Ma non è materia di sua competenza, lo è piuttosto di Valditara, e lasciamo perdere l’ordine di importanza degli argomenti, perché esso non inficia il fatto che le vacanze estive siano troppo lunghe.
A questo punto, qualcuno controbatterà che con questa calura non è possibile tenere i bambini a scuola in agosto. Questo è vero, ma, se consideriamo le previsioni estive e se valesse il criterio delle elevate temperature, dovremmo chiudere le scuole anche a giugno e settembre. Forse anche a ottobre. Il caldo implica una reductio ad absurdum, perché non è possibile sospendere la scuola per quattro o cinque mesi.
Spostiamo dunque il discorso muovendo da un’esigenza psicologica che è quella dell’oblio, come ha ben spiegato Borges con Funes el memorioso. Essa ha a che fare con la pandemia, che pare un’esperienza remota. Eppure, il ricordo dei camion militari che a Bergamo trasportavano, di notte, i corpi insalutati si è incuneato nella nostra psiche. Dunque, se l’oblio è il segno della vita che germoglia nuovamente, in opposizione all’ossessione mortifera del ricordo, esso tuttavia richiede i suoi tempi d’iscrizione nella realtà, altrimenti è rimozione destinata a riemergere. Le pandemie non possono essere considerate solamente un presagio inquietante, perché gli ingressi di virus nella nostra specie sono ricorrenti.
In questa prospettiva, sarebbe valsa la pena di spendere i soldi del PNRR nella predisposizione di locali scolastici adeguati dal punto di vista della salubrità dell’aria. Quest’ultima, infatti, veicolo di diffusione del Covid, va sanificata, esattamente come nell’Ottocento veniva trattata l’acqua e la si introduceva nelle abitazioni. Muoversi in questa direzione avrebbe comportato affrontare anche il problema della temperatura. L’abitabilità delle aule scolastiche, infatti, ha a che fare con il caldo eccessivo. Forse il PNRR avrebbe potuto essere destinato all’acquisto di appositi macchinari, anziché a quello di molte inutili suppellettili.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.