Come ho ricordato in un precedente articolo la letteratura sul miglioramento delle scuole occupa ormai intere biblioteche. Per promuovere un efficace processo migliorativo basta selezionare le idee migliori e decidere di passare dalle intenzioni ai fatti. In questo articolo intendo presentare alcune tra le più interessanti proposte elaborate per sostenere le scuole che fanno maggiore fatica nello svolgere il loro servizio, prescindendo dalle soluzioni più drastiche adottate in alcuni paesi e improponibili nella realtà italiana. Come è noto nei casi più gravi è prevista addirittura la chiusura dell’istituto i cui risultati non corrispondono alle aspettative, proprio come accadrebbe ad un’impresa economica fallimentare.
Per sostenere una scuola in crisi occorre partire da un dato incontrovertibile. Nessuna scuola desidera essere segnata da un bollino rosso e perciò esiste una certa difficoltà a fare accettare la condizione di scuola bisognosa di aiuto. Questo passaggio (in qualche caso doloroso: quante scuole mediocri sono convinte di essere eccellenti!) è tuttavia di fondamentale importanza perché il miglioramento coinvolga al 100% il sistema scolastico. Quante siano le scuole da monitorare per le loro insufficienze non è noto, ma questa realtà esiste vistosamente anche in Italia (come del resto in tutti i paesi). Sappiamo anche che queste scuole per ragioni varie costituiscono l’aspetto “patologico” del sistema scolastico e hanno bisogno di una terapia che consenta loro di risollevarsi. Ormai disponiamo di una serie di dati, informazioni, possibilità di confronti nazionali e internazionali che potrebbero essere utili per passare dall’osservazione (ormai molto raffinata) all’intervento “terapeutico”. Basta la volontà politica per farlo.
Di fronte a una scuola in difficoltà si pongono tre principali questioni: convincere, come detto, la scuola della sua situazione reale, agire perché la scuola non diventi preda della marginalità “psicologica” (“non c’è niente da fare, qui le cose non cambieranno mai”), contrastare l’illusione che sia possibile risolvere i problemi rapidamente. Non ci sono interventi miracolosi (un ciclo di incontri con esperti importanti, un cospicuo finanziamento ecc.), che consentano di “tagliare” i tempi.
1. Su tutte queste tre questioni non mancano proposte pratiche, frutto di esperienze condotte in vari paesi. La prima indicazione giunge dagli studi di Alan Boyle, che suggerisce la strategia dell’intervento empatico. Nulla di più negativo, secondo lo studioso britannico, che denunciare apertamente lo stato di crisi di una scuola e in tal modo “moltiplicare la vergogna di essere inclusi nella categoria dei falliti”. I dati negativi, anziché essere trattati con logica comparativa (come le scuole competessero tra loro), si dovrebbero tradurre in uno stimolo al riscatto.
Ciò è più facile se viene prevista un’azione di accompagnamento nel tempo da parte di persone esperte della vita scolastica (non accademici) in grado di svolgere un’azione di tutorato. Pur consapevoli dello stato di fatto i tutor non dovrebbero far pesare le debolezze. Il loro compito è quello di individuare d’intesa con la direzione alcune (poche) azioni sistematiche e durature con scadenze ben prefissate. In tal modo si possono far emergere di volta in volta i progressi conseguiti con la positiva conseguenza di rialzare gradualmente il morale della comunità scolastica, condizione prima perché il miglioramento poggi su radici salde e non sia temporaneo.
2. Secondo un altro apprezzato ricercatore, Daniel Muijs – fautore di un’azione centrata sul coinvolgimento attivo delle scuole interessate – sarebbero raccomandabili tre azioni tra loro integrate. In primo luogo occorrerebbe che la scuola in difficoltà non resti isolata. È improbabile che da sola riesca a invertire la rotta. Una delle prime azione da mettere in campo è perciò quella di inserirla in una rete di istituti attraverso cui raccogliere suggerimenti, stimoli, esempi di buone pratiche (anche se il miglioramento non è un processo standardizzabile e ciascuna scuola dispone di una sua precisa identità che va rispettata). Un secondo passo previsto da Muijs riguarda la messa a punto di una visione scolastica partecipata e condivisa. In molti casi la mediocrità scolastica è anche – talora soprattutto – frutto o di un certo disordine organizzativo oppure è legato a una forte conflittualità interna.
Un’ulteriore azione decisiva per innescare il miglioramento – terzo suggerimento – è connessa a una direzione autorevole dell’istituto. Se necessario, si può giungere anche alla sostituzione del dirigente, avendo tuttavia ben chiaro che un’azione del genere non assolve dalle loro responsabilità la comunità dei docenti. La direzione “forte” di una scuola non significa automaticamente autoritaria o totalitaria. Significa tenere la barra diritta sugli obiettivi condivisi, senza smagliature o ripensamenti temporanei.
3. Altri studiosi prospettano una terza strategia, che si potrebbe definire della solidarietà extrascolastica. Una scuola in difficoltà – si fa osservare – mette a repentaglio l’intera comunità nella quale agisce perché riduce la qualità del capitale culturale a disposizione. Il miglioramento, in altre parole, non può essere considerato soltanto un fatto interno alla scuola e perciò le componenti sociali, economiche, culturali, religiose possono, ciascuna per la sua parte, fornire un contributo all’azione di riqualificazione della/delle scuola/scuole attive in un determinato territorio.
Inutile dire che questa strategia – molto suggestiva sulla carta – presenta spesso difficoltà e rischi di incomprensioni per la presunzione – d’un lato – di chi sta fuori della scuola a interferire con l’autonomia dei docenti, e – per altro verso – per il timore dei docenti di essere “valutati” come inadeguati al loro compito. Ma là dove si impostano correttamente i termini della questione i risultati positivi della collaborazione non si fanno attendere.
Sulla base delle esperienze condotte con i criteri sopra accennati, sembra che le ispezioni non siano particolarmente efficaci nel promuovere miglioramento e dovrebbero essere circoscritte alla individuazione delle scuole da aiutare. Le ispezioni sono uno strumento poco flessibile, intimoriscono più che empatizzare, obbediscono inevitabilmente a una logica più burocratica che promozionale. Molto più efficaci si dimostrano invece le figure tutoriali che vanno in soccorso della scuola da aiutare.
(2 – continua)
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