Mentre Maurizio Landini, il fiero sindacalista della Fiom, oggi segretario generale della Cgil, dialoga ragionevolmente con la parte imprenditoriale e interloquisce anche con l’accigliato Bonomi, che non risparmia asprezze al governo, i sindacati della scuola, qualche settimana fa, hanno “rovesciato” il tavolo di trattativa con il ministero e proclamato uno sciopero nell’ultimo giorno di scuola.
Stanno forse prendendo il posto della Fiom nel ruolo di avanguardia sindacale? Durante il lockdown, non hanno lesinato dichiarazioni di rottura: hanno diffidato i presidi che avessero programmato riunioni non previste dal calendario d’inizio anno o che stessero organizzando la didattica a distanza. Tuttavia i docenti non li hanno seguiti (neppure nello sciopero di fine anno) e anzi, in una sorta di afflato morale, la stragrande maggioranza delle scuole ha tenuto riunioni e ha attuato la didattica a distanza.
Ma se con il Covid-19 non l’hanno spuntata, con la questione dei precari non mollano: devono essere immessi nei ruoli. Tutti, subito e senza concorso. In alternativa con un simulacro di concorso.
Ma perché i precari dovrebbero essere immessi in ruolo in questo modo? Talvolta i concorsi non sono efficaci e soprattutto non rispondono a criteri di equità, ma tutto questo – come suggerisce Sabino Cassese – non elude la necessità degli stessi, che rappresentano uno strumento di selezione fondamentale, non a caso previsto dalla Costituzione.
Si obietta che i docenti hanno già acquisito esperienza e competenze negli anni di precariato. Bene, allora facciamo in modo che tale patrimonio personale sia valorizzato. Il che non significa evitare la procedura concorsuale.
Purtroppo i sindacati sanno che i concorsi possono essere selettivi. Gli ultimi (2012/2013, ministra Carrozza) sono stati superati solo da una parte dei candidati, al punto che molte cattedre sono rimaste vacanti. Se anche quelli imminenti fossero selettivi, si avrebbe un effetto collaterale: la riduzione del numero degli iscritti sindacali, una parte dei quali non riterrebbe di essere stata adeguatamente tutelata.
I concorsi, poi, porterebbero nella scuola un refolo meritocratico che porrebbe in discussione il tradizionale egualitarismo, umiliante per tutti coloro che danno l’anima per la scuola. Qualcuno, addirittura, potrebbe suggerire di introdurre una carriera per i docenti, come avviene nella maggior parte dei paesi europei…
Soprattutto essi mostrerebbero la sostanziale inadeguatezza del tradizionale sistema delle graduatorie, che periodicamente produce un sovrannumero di precari. Se fossero indetti dalle scuole autonome (in compartecipazione con le istituzioni locali, come avviene all’estero), la tutela sindacale potrebbe apparire inutile. Infatti, se le scuole assorbissero gradualmente il personale di cui necessitano, il problema del precariato verrebbe superato.
Ma c’è anche un’altra questione fondamentale: la scuola è fuori mercato e nessuno (tra coloro che sono di ruolo) può perdere il lavoro. Mentre Landini avverte l’esigenza di dialogare con gli imprenditori, perché sa che la chiusura delle aziende danneggerebbe anche i lavoratori, i sindacati della scuola non temono nulla: il posto di lavoro per gli statali è garantito. Per questo possono abbandonare il tavolo delle trattative e proclamare una “lotta dura senza paura”. Ma, negli attuali tempi di cambiamento, non sarebbe necessaria una maggiore prudenza?
Un’ultima considerazione. Forse è bene che le scuole private, che svolgono un servizio pubblico, facciano un po’ di concorrenza a quelle statali. Il regime pressoché monopolistico di queste ultime non induce, nei rappresentanti dei lavoratori, alcuna ragionevolezza, mentre altrove le persone sono disoccupate. Le scuole private, da questo punto di vista, possono svolgere una funzione benefica anche per quelle statali. Qualche riflessione a questo riguardo sarà opportuno farla.