In quest’ultimo periodo abbiamo avuto notizie terribili riguardanti giovani che hanno commesso fatti gravissimi: l’omicidio del senza tetto a Napoli, l’incidente in Lamborghini dei giovani youtuber che hanno ucciso un bambino, il giovane che è annegato nel fiume per realizzare un video da postare sui social e la notizia degli alunni promossi con 9 in condotta (ma lo scrutinio sarà da rifare) nonostante avessero colpito con una pistola a pallini un’insegnante durante l’anno. Colpiamo duramente questi ragazzi, massacrandoli per i loro errori, con la finta idea di poter restaurare una nuova legalità e un mondo in cui i problemi spariscono perché ci sono conseguenze con pene certe e durissime.



Da parte mia, quando sarò in pensione scriverò un libro sulle nefandezze che ho visto compiere da docenti della scuola e genitori in anni di insegnamento e come genitore di tre adolescenti. Spesso si tratta di piccole cose, ma che cambiano profondamente la vita degli studenti: dare aggettivi riferiti a certi ragazzi, etichette appiccicate per cinque anni, consigli dati sottobanco a genitori per compiacerli (soprattutto se ricchi e importanti), docenti che sono preoccupati soltanto di poter incassare qualche soldo in più a fine mese.



Una volta un alunno mi ha detto: “I primi due mesi delle superiori sono i più importanti, perché per cinque anni ti porti dietro l’idea che i prof si sono fatti di te in quel periodo”. Giusto o sbagliato che sia, il dato di fatto è che nessun docente risponde di nulla a nessuno della propria azione educativa, se non in casi gravissimi che ogni tanto vediamo sui giornali. L’educazione è una questione molto delicata, perchè di mezzo ci sono le persone soprattutto più fragili e nella fase di crescita più importante della loro vita, in cui ogni parola deve essere misurata e pesata attentamente, ma approcciarsi all’educazione e giudicare tutto sulla base delle proprie idee o ideologie è la cosa peggiore che si possa fare.



Scandalizzando tutti mi permetto di dire che nel mondo dell’emergenza educativa di oggi, quello di cui c’è bisogno con i ragazzi è innanzitutto il perdono. Perdono non significa non fare i conti con normative, sanzioni e princìpi, ma avere la consapevolezza che ogni ragazzo non corrisponde al proprio sbaglio, che il valore del singolo è maggiore rispetto a quello dell’infrazione del regolamento o del reato commesso. Perdono è essere consapevoli che come genitori, insegnanti ed educatori siamo stati mancanti nei confronti di questi giovani, non essendo riusciti ad aprire un rapporto di dialogo e confronto che permettesse loro di poter capire cosa è giusto e sbagliato e che cosa ha veramente valore nella vita. Stiamo crescendo i giovani dicendo loro cosa possono o non possono fare, anche l’educazione civica nelle scuole nasce con questo scopo; poi li facciamo vivere in un mondo abbandonandoli a loro stessi e contraddicendo quegli stessi principi che abbiamo insegnato.

Diciamo ai ragazzi di non usare il cellulare a scuola ma nello stesso tempo permettiamo loro di farlo, diciamo che usare troppo la tecnologia fa male ma non riusciamo ad imporre limiti, li obblighiamo per legge a usare scooter con un limite di velocità di 45 km orari ma gli stessi motorini escono dai concessionari senza limiti. Non possono entrare in discoteca prima di 16 anni ma già a 13 basta un documento prestato da un amico per entrare senza controlli, non si può bere alcolici prima di 18 anni ma già a 12 anni abbiamo ragazzi ubriachi in ogni città, facciamo continui corsi contro le droghe a scuola ma di fatto l’uso è ormai legalizzato tra gli adolescenti; la lista potrebbe andare avanti con gioco d’azzardo, uso dei monopattini (qualcuno ha mai visto un adolescente indossare un casco protettivo?), cyberbullismo, uso dei social, sesso e altro.

Dietro a tutto questo spesso ci sono adulti o società che pensano che il ruolo educativo debba essere svolto da qualcun altro chissà dove e quando. Possiamo lamentarci se copiano gli adulti nella loro età di scoperta del mondo e della vita? La soluzione è quella di aggiungere restrizioni alle norme, inasprire le pene e massacrare pubblicamente questi ragazzi?

Una volta ho incontrato una mia ex alunna adolescente in un reparto psichiatrico, aveva tentato più volte il suicidio, passando da droga e reati vari, alla fine del suo racconto mi sono commosso, sorpresa mi ha guardato e mi ha chiesto: “Com’è possibile che ancora qualcuno possa piangere per me dopo quello che ho fatto?”. Più che massacrare dobbiamo piangere per le loro e per le nostre mancanze educative. Più che la vendetta dobbiamo cercare la lunga e tortuosa strada del perdono. Se per caso lo capissero, non sarebbe molto più importante che prendere un 5 in condotta o 20 anni di carcere? Non sarebbe l’occasione per ricominciare un vero rapporto educativo?

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