“Professore, quando si rifà il cerchio?”. I miei allievi delle medie si riferivano al metodo del cerchio o “tempo del cerchio” (traduzione dell’inglese circle time), che fu inventato dallo psicologo Thomas Gordon come mezzo di educazione socio-affettiva e di risoluzione dei conflitti. Quali che siano gli argomenti trattati, è anche un’ottima palestra di dialogo corretto ed efficace. Una palestra preziosa, considerando che la democrazia è “il metodo di governo attraverso la discussione”, come ci ricorda Amartya Sen, e che gli esempi negativi sul modo di confrontarsi sono molto più frequenti di quelli a cui ispirarsi: ci si interrompe, si urla, si usa senza ritegno l’argomento cosiddetto ad hominem, quello che mira a squalificare l’interlocutore invece di argomentare contro le sue tesi.
Come funziona questo metodo? I membri del gruppo si siedono in cerchio e prima di cominciare si impegnano a osservare alcune regole:
– rispettare il turno di parola, non interrompere, non parlare mentre parlano gli altri;
– non giudicare quello che dicono i compagni, né svalutarlo in alcun modo (per esempio ridendo o facendo dei gesti);
– dopo l’incontro, non riferire ad altri quanto è stato detto dai compagni, in modo da facilitare, con la garanzia della riservatezza, l’espressione di sé.
Il conduttore ha soprattutto il compito di facilitare la comunicazione tra i partecipanti, incoraggiando a intervenire i più timidi e facendo in modo che la discussione si mantenga nell’ambito stabilito.
Come insegnante ho utilizzato ogni tanto il metodo del cerchio per affrontare problemi relazionali tra compagni di classe (scherzi ripetuti, incomprensioni, offese) o per approfondire argomenti importanti per i ragazzi. In una terza, per esempio, in vista del possibile acquisto del motorino, lo adottammo per parlare del “rischio accettabile”, cioè ridotto consapevolmente al minimo (ne tratta ampiamente un libro di Daniele Biondo che si intitola appunto Educazione stradale e rischio accettabile). In questa occasione furono le ragazze ad assumere un ruolo quasi “genitoriale”, rivolgendosi ai compagni con osservazioni sui comportamenti rischiosi. Osservazioni che, non venendo da un adulto, sembravano risultare più accettabili dai maschi, notoriamente attratti, a quell’età, dalla velocità e dalla spericolatezza.
Il metodo si può adottare anche quando si tratta di decidere a quale scuola superiore iscriversi, soprattutto nella fase in cui, dopo aver avuto sufficienti informazioni e acquistato una certa consapevolezza delle proprie attitudini e dei propri interessi, restano a volte da sciogliere le difficoltà e i blocchi di carattere affettivo (la paura di sbagliare, di perdere le amicizie, di deludere i genitori); tutte cose che spesso hanno un’importanza decisiva nelle scelte, soprattutto in quelle che si rivelano sbagliate. A volte a questa età quello che dicono i familiari e anche gli insegnanti non sempre viene preso in grande considerazione, mentre le stesse cose, dette dai compagni, vengono accettate più facilmente.
Il confronto guidato con i pari può essere molto produttivo. Molto utile si è rivelato decidere di ricorrere, previo aggiornamento della seduta, all’esperienza di fratelli, sorelle e amici che già frequentavano le superiori. È stato il caso di Gianna, tormentata dall’indecisione tra il liceo scientifico – che preferiva – e il liceo classico, scelto dalla sua migliore amica. Il risultato della consultazione di cui sopra fu che le amicizie veramente importanti rimangono e che se ne fanno di nuove altrettanto belle. Fu così che nel primo pomeriggio ricevetti questo messaggio dalla mamma di Gianna: “È tornata a casa raggiante e ha esclamato: Ho deciso, vado allo scientifico!”.
Infine, un esempio che viene dalla primaria. A una collega che si accingeva a insegnare come si salta con la corda, i maschi risposero compatti che non volevano farlo perché era “una cosa da femmine”. Dopo avere invitato gli alunni a sedersi in cerchio, la maestra si mise a interrogarli su quali sport conoscevano, fino a che (la faccio breve) fu citato il pugilato. Allora chiese se si trattava o no di uno sport adatto ai maschi, ottenendo un corale “Siiiii!”. Fu a questo punto che rivelò agli stupefatti alunni che per i pugili è fondamentale allenarsi ogni giorno nel salto con la corda, sia sul posto che in movimento per migliorare la coordinazione e la rapidità dei movimenti. In un attimo, i renitenti diventarono appassionati praticanti di questo attrezzo, gareggiando tra di loro in resistenza e velocità.
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