È da ormai qualche anno che la scuola ha trovato la sua uova collocazione sociale, istituzionale ai margini di una società che non riesce più ad incontrare, ad affascinare. La sua prospettiva aziendalistica ha preso sempre più piede, modificando le trame di un sistema già di per sé in crisi. Una crisi educativa, originata principalmente da una crisi familiare in cui il modello, l’esempio del genitore saldo, stabile, è venuto meno, cedendo il passo ad una figura di genitore che deve far carriera, della mamma lavoratrice che giustamente “ha da faticare” per garantire una sussistenza economica al nucleo familiare.
La precarietà di rapporti interni alla famiglia, dove il concetto di educazione perde consistenza e significato, viene proiettata inesorabilmente nella società e di conseguenza anche nella scuola. Da qui scaturisce da una parte la profonda ignoranza in termini di sapere, di conoscenze, dall’altra l’arroganza e la presunzione di bambocci sempre più dipendenti dalla tv, da giudizi sommari e superficiali su tutto, dal poter fare tutto perché tutto è concesso. La scuola, insomma, come luogo di intersezione dell’aspetto educativo (da recuperare, visto che nei luoghi deputati a promuoverla si sciopera perennemente) e di quello del sapere non riesce a proporre qualcosa di significativo.
Del resto in un luogo dove l’aspetto umano personale è in profonda crisi, cosa c’è da aspettarsi? Se il singolo docente ha una sua catastrofe interna, personale, intima, cosa può proporre di nuovo e di affascinante ad un alunno cui manca il senso dello studio, del proprio stare in classe? Se, non solo i docenti ma anche e purtroppo spesso i dirigenti non hanno ben chiaro il senso di ciò che si studia, che si propone sotto il profilo educativo nel contesto-scuola, cosa ne può uscire fuori di accattivante? La scuola ormai è alla mercé di enti esterni o meglio estranei che, seppur carichi di buoni propositi, non hanno dimestichezza con il nesso tra l’alunno e ciò che più desidera, e di conseguenza con il saper “custodire” una classe.
E vai allora con giornate perse a fare azioni delle più belle che con la scuola propriamente intesa non hanno nulla a che fare. E vai con le classi aperte, con il dialogo a tutto spiano, con la cattedra da buttare, con il “siamo tutti uguali” insegnanti e alunni (come nelle famiglie, dove l’eguaglianza tocca al genitore), dimenticando l’aspetto più vero del modello, dell’esempio, dell’adulto come punto di riferimento, del rispetto dei ruoli. Tutto facilitato, tutto “amicizzato”, tutto reso facile, agevolato, dimenticando e trascurando la fatica del raggiungere l’obiettivo, del lavoro sudato e carico di tensione per ottenere un risultato.
Da questa trama di relazioni l’alunno esce molliccio, insipido, preda di un mondo che non aspetta altro che sbranarlo; la verità di sé, la coscienza dell’essere, si rattrappisce, annullando e censurando qualsiasi ipotesi di bene. Ben poco rilievo a questo punto hanno un’attenzione, uno sguardo inaspettato, un consiglio, un affetto. Roba da perdenti, da fanciulletti. Ci sono cose ben più importanti: la carriera, la raccomandazione, il successo a tutti i costi. Che significato può assumere mai una proposta seria fatta al cuore dell’uomo?
Condizionati in questo modo dai media, non si arriva neanche lontanamente a prendere in considerazione uno sguardo diverso, un suggerimento, una ipotesi di bene e di bello. Lo scetticismo più bieco e acuto, il cinismo più infimo hanno preso il posto di una umanità semplice. E così l’alunno, surclassato di cose da fare e non di cose da capire, sbanda inesorabilmente privo di un metodo di studio che è poi metodo di affronto della vita. Sbaragliati e frammentati i ragazzi, contenti di evitare qualsiasi impegno, qualsiasi ansia, soccombono piacevolmente alle innumerevoli vacue proposte pseudo-educative che non hanno fondamento, radici, senso. Basta che si saltino le lezioni, basta che si eviti la fatica di un impegno che tutto va bene.
La scuola priva di un adeguato orientamento, di uno scopo serio perde, giorno dopo giorno, la sua caratteristica primaria: l’essere luogo di domanda, di curiosità, di conoscenza nel senso di “sapienza”. Occorre ricominciare ad amare il percorso di vita degli alunni, bisognerebbe cominciare ad affezionarsi a sé, ad abbracciare la fatica del lavoro, del significato di ciò che si fa, del perché ci si muove, bisognerebbe percepire la responsabilità che ciascun uomo, educatore, padre, insegnante ha di fronte a una classe, al singolo alunno della singola classe. Occorre cominciare, ricominciare, subito.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI