Tornare tutti in classe il 1° settembre a fare lezione. Spostare i seggi elettorali negli uffici comunali e nelle caserme per non interrompere le lezioni dopo una settimana di apertura. Avviare nell’ultima settimana di agosto le attività collegiali dei docenti per preparare la ripresa in classe. Lasciare il resto del calendario scolastico alle Regioni e alle singole scuole. Cessare la didattica a distanza. Confermare al 1° settembre tutti i docenti supplenti in servizio in questo anno terminato per evitare il più grande carosello impiegatizio della nazione. Rendere obbligatoria la ripresa delle attività di scuola–lavoro. Stabilire per tempo le date delle prove nazionali Invalsi per monitorare in modo uguale per tutti il progresso degli apprendimenti. Eliminare qualsiasi responsabilità penale per i dirigenti scolastici in relazione a un’eventuale ripresa dell’infezione. Fare, durante tutta l’estate, turni impegnativi del personale non docente per pulizie, sanificazioni e piccole manutenzioni. Avviare, finanziando direttamente le scuole, un programma di opere di manutenzione straordinaria delle necessità indispensabili agli edifici scolastici.
Sono solo alcune delle urgenze che speriamo entrino nelle disposizioni ministeriali che (sempre speriamo) debbono uscire entro questo sabato. Il resto lo si lasci alle scuole autonome: stabilire l’applicazione in ogni istituto delle (si spera) poche ed essenziali norme di tutela sanitaria; programmare forme e tempi per recuperare le lacune degli apprendimenti rimaste dall’anno terminato; stabilire le forme di valutazione intermedia e finale del prossimo anno, ivi comprese le valutazioni fatte negli scrutini di questi giorni; stabilire modalità e tempi per la ripresa delle attività di scuola–lavoro (fondamentali per una nazione col 37% di disoccupazione giovanile).
Non si può non condividere lo sconcerto di Manca sul Corriere: tutto l’impegno del Governo, le richieste degli organismi sociali ed economici, le pressioni dei media e di tanti settori per la riapertura di tutti gli ambiti della vita civile non hanno fruttato nulla per la vita della scuola, che resta, con buona pace di tutti (anche di tutta la vita sociale e familiare) l’ambito più negletto della nostra nazione.
L’ultimo triste segno di tutta questa indifferenza è stata la scelta di celebrare scrutini e riunioni di docenti sempre in digitale, a distanza, mentre in tutte le aziende si è ripresa tutta l’attività.
È impressionante come questo eclatante abbandono non abbia generato proteste di alcun genere: unici segnali sono qualche settimana fa la presenza di qualche decina di giovani mamme in alcune piazze italiane e l’annuncio di qualche manifestazione di genitori a Bologna.
Qualcuno potrebbe sostenere che il fallimento dello sciopero scuola dell’8 giugno (che era, di fatto, contro la riapertura delle scuole) fosse un segnale positivo: non è così. Non ci vuole molto a ricordare che l’adesione allo sciopero esigeva la propria segnalazione al dirigente scolastico e che era impossibile verificare l’adesione visto che nessuno era a scuola a firmare nulla.
In fatto di ostilità sindacale siamo in buona compagnia: anche il premier inglese si trova di fronte in questi giorni l’opposizione delle corporazioni a proseguire la riapertura delle scuole.
La Francia che, dopo aver aperto le scuole il 4 maggio a chi voleva frequentarle, ora le rende obbligatorie prolungando le lezioni per tutto il mese di giugno, per poter recuperare una parte degli apprendimenti persi. Là addirittura la scuola è stato il primo settore a riaprire.
La buona volontà di tantissimi docenti e presidi nel seguire a distanza gli alunni non è stata completata né rafforzata dall’unica modalità possibile: tornare a scuola. Così come si sono persi tre mesi per fare lavori di pulizia e piccola manutenzione.
Onore delle armi alla maestra di Prato che, per salutare i propri alunni, ha sfidato ministero e sindacati. Onore ai presidi degli istituti professionali di Treviso che hanno fatto venire i propri studenti a scuola.
Come qualche voce isolata ha sostenuto, resto convinto tuttavia che tutto questo non è il frutto di sole dimenticanze amministrative, governative o politiche. Basta dare la colpa solo alla politica. Anche Aldo Cazzullo confermava che “la scuola in Italia non è considerata importante”. Un’intera nazione vi ha collaborato.
Siamo quindi di fronte a una sfida culturale: l’Italia deve ritrovare, nella scala delle proprie priorità, il primato dell’istruzione e dell’educazione, in una parola “della cultura”, oggi ben sotto, nella coscienza comune, a ben altre priorità familiari, sociali ed economiche.