Pubblichiamo le conclusioni dell’autore al convegno “Il rischio educativo nella scuola dell’emergenza”, organizzato dall’Associazione culturale Il Rischio Educativo. 

Ora che stiamo tornando ad un’apparente normalità, non possiamo dimenticare che il periodo vissuto negli ultimi mesi è stato qualcosa di eccezionale e sconvolgente, uno dei più gravi e gravidi di conseguenze tra quelli vissuti dalle ultime generazioni. La scrittrice polacca Olga Tokarczuk, premio Nobel per la letteratura per l’anno 2018, ha invitato, nei primi giorni della pandemia, a prepararsi “alla grande battaglia per una nuova realtà, che non siamo ancora in grado di immaginare”, descrivendo il radicale cambiamento che ha investito l’intero pianeta, e in particolare il mondo occidentale, con queste parole: “Davanti ai nostri occhi si dissolve come nebbia al sole il paradigma della civiltà che ci ha formato negli ultimi duecento anni: che siamo i signori del Creato, possiamo tutto e il mondo appartiene a noi. Stanno arrivando tempi nuovi”.



Altri hanno parlato di “delirio di onnipotenza” dell’uomo contemporaneo, messo in crisi dal virus, di una sconcertante  riscoperta della fragilità umana, della vulnerabilità dell’essere umano, resa evidente dalla “morte”, improvvisamente divenuta familiare, tanto da generare paura e angoscia. Di tutto ciò ci si potrebbe dimenticare, nell’illusorio ritorno a una apparente normalità, ma sarebbe una grave mancanza, perché ci si priverebbe dell’insegnamento prezioso che la situazione drammatica che abbiamo vissuto – e che continua tuttora nel mondo, con un crescendo continuo, e che potrebbe riesplodere di nuovo anche in Italia – ha dato, per una più realistica comprensione di sé e della vita. Delle tante cose successe e delle tante esperienze, interiori ed esteriori, vissute in questo periodo sarà perciò buona cosa conservare memoria e forse solo col tempo si riuscirà a comprendere pienamente ciò che è successo in questi mesi.



Ma almeno due aspetti è già importante richiamare, per la loro evidenza.

Anzitutto l’iniziativa personale, nata da una consistenza personale che non ha potuto essere nascosta ma è diventata fattiva e propositiva. “Le cose che abbiamo scelto per la nostra vita”– come è stato detto in uno degli interventi che mi hanno preceduto – e non solo un giusto senso del dovere, hanno mosso a fare tutto quello che, in questi mesi, insegnanti, presidi, direttori hanno fatto, con un alto senso di responsabilità nei confronti degli altri, soprattutto degli alunni con i quali erano coinvolti.

In secondo luogo, l’agire insieme, dapprima quasi rincorrendo gli altri, alla ricerca di risposte ai nuovi interrogativi posti dalla situazione, poi qualificando sempre di più un cammino comune da compiere, e da compiere insieme. L’assidua partecipazione ai momenti di lavoro comune di presidi, direttori e insegnanti è stata l’espressione di un metodo di impegno con la realtà, il cui valore non può essere negato.



In un suo recente videomessaggio a un gruppo di educatori papa Francesco ha detto che le crisi, se affrontate da soli, disorientano. Se invece le crisi sono affrontate insieme si possono trasformare in opportunità. Per come voi avete affrontato la pandemia, quella pandemia che ha segnato ciascuno di noi e ciascuno dei vostri alunni, questa crisi non è stata subita ma è stata trasformata in una nuova opportunità. Il fulcro di questa opportunità è riassunto in una frase che frequentemente è stata ripetuta in questo periodo: “dobbiamo abbandonare ciò che è superfluo e tenere ciò che è essenziale”. Una frase che, tra l’altro, esprime un bisogno di autenticità e solidità, di maggior padronanza delle cose che vale la pena tenere e delle cose che invece è meglio abbandonare.

Certo, non è facile coltivare solo ciò che è essenziale e liberarsi del superfluo, anche perché è alquanto difficile capire che cosa sia essenziale e che cosa sia superfluo nella vita, soprattutto nell’educazione; a volte la ricerca dell’essenziale può portare a sacrificare ciò che sembra superfluo, ma che invece proprio superfluo non è, rivelandosi, in altre circostanze, importante. È il difficile discernimento che ogni educatore e ogni insegnante è costantemente chiamato a fare. Ma indubbiamente la distinzione tra essenziale e superfluo è un buon criterio normativo, che, se correttamente utilizzato, può dare buoni frutti.

Con linee e prospettive non intendo ora delineare i passi e le scelte che le scuole dovranno compiere, passi di cui ogni scuola è l’unica e assoluta responsabile.

Piuttosto vorrei raccogliere in tre principali punti la strada del lavoro finora compiuto e testimoniato negli interventi che mi hanno preceduto e del lavoro che sarà da compiere il prossimo anno. La questione fondamentale non è solo la corretta comprensione del passato, ma il prepararsi e il predisporsi ad affrontare il prossimo anno, l’intero prossimo anno, convinti che la strada da percorrere si chiarirà col tempo, giorno dopo giorno, e che oggi se ne può indicare solo la direzione e i contorni.

1. Il contenuto dell’educazione

In questi mesi, e anche negli interventi di questo convegno, è stata spesso sollevata la domanda sul valore della scuola: “che cosa significa far scuola, che cos’è una scuola, perché insegniamo, perché si educa?”. Il contenuto essenziale dell’educazione non è questione puramente teorica, ma si pone al cuore di quella che – uso l’espressione volutamente – è una rinnovata alleanza educativa. Il tema dell’alleanza educativa, o del patto educativo, è stato reso evidente e urgente dalla pandemia e dall’isolamento sociale che ne è conseguito e che ha profondamente mutato la vita scolastica. Alleanza educativa è un “rapporto fiduciario” tra più persone, ma è anche l’identificazione del soggetto che compie l’azione educativa. L’adulto, se non vuole cadere in forme di superficiale personalismo, è chi introduce a un’esperienza di cui egli è parte, a un insieme di rapporti che egli vive e costruisce, e, allo stesso tempo, stringe un patto con coloro che educa, per compiere un percorso insieme. L’alleanza tra insegnanti, tra insegnanti e famiglie, tra insegnanti e alunni, tra scuole e contesto sociale e civile, sono alcuni dei volti che tale “alleanza educativa” può assumere e che, in questo periodo, sono stati messi alla prova, riscoperti, stimati e valorizzati. Negli accenni di collaborazione tra scuola e famiglia, nei racconti delle iniziative di maestre della scuola dell’infanzia e primaria, si possono scorgere i tratti più belli e umani di questa alleanza.

L’alleanza tra coloro che si dedicano all’educazione costituisce la condizione essenziale della formazione delle nuove generazioni e della stessa scuola, ad ogni suo livello, e richiede il personale coinvolgimento di tutti coloro che sono impegnati, a vario titolo, nella comunicazione educativa.

Ora qual è il cuore e il motivo principale di questa alleanza? Non è la strategia o il progetto per la realizzazione di un’immagine d’uomo, per la “creazione dell’uomo nuovo”, come molte pedagogie del 900 hanno cercato di fare. Ho trovato in una formulazione di papa Francesco, utilizzata nel già citato videomessaggio, la felice espressione di questo motivo essenziale: “Educare è ricercare il senso delle cose. È insegnare a ricercare il senso delle cose”. Siamo soliti dire che la giustificazione di una scuola paritaria, non statale, sta nel progetto educativo, nel metodo che essa segue per l’istruzione dei giovani, nelle finalità cui tende. Ora, questo progetto, queste finalità, questo metodo, si identificano nella ricerca del senso delle cose e nel modo in cui tale ricerca viene proposta e attuata. Ricordiamo che il “senso” non è qualcosa che sta al di là della realtà ma è ciò che mette profondamente dentro la realtà, come Luigi Giussani ha scritto ne Il rischio educativo (“La realtà, non è mai veramente affermata, se non lo è anche l’esistenza del suo significato”), ed è la costante dell’intera azione educativa. Un’educazione tesa a far vivere il rapporto con il reale è un insegnamento a ricercare il senso delle cose, di ogni cosa, da quelle quotidiane a quelle eccezionali, nella convinzione che, per essere introdotti nella realtà, occorre comprenderne il senso. È questa l’infaticabile opera della ragione e l’incessante spinta dell’intelligenza, che la scuola deve favorire e che, per quanto può, deve saper educare.

Un filosofo tedesco, Robert Spaemann, parla di una duplice polarità da cui scaturisce il procedimento razionale: “l’uomo ha esigenza di essere libero e ha l’esigenza di trovare dimora e sicurezza”. Da questa duplice esigenza, l’essere umano è mosso a cercare il senso della realtà, sia come ricerca del senso della sua libertà – non essendo necessitato, il suo agire dipende dalle sue scelte, le quali non sono imposte, ma volute, e quindi devono essere motivate o giustificate – sia come ricerca di sicurezza, di un’esistenza non sottoposta a pericoli, di una dimora ove sopravvivere e vivere – di nuovo, l’esperienza della pandemia: l’insicurezza, l’essere in pericolo, e la ricerca di soluzioni (di qui il frenetico ricorso agli “esperti”). L’essere umano ricerca la sua dimora, la sua protezione e la sua salvaguardia; e cerca anche di capire quale sia il suo posto nel mondo, il senso di quello che fa e del suo essere libero.

Se da questa duplice polarità scaturisce il bisogno di conoscenza, questa si attua in un altrettanto duplice modo, a seconda che il suo principale obiettivo sia il “come” oppure il “che cosa” o il “perché”. Nel primo caso si parla di spiegazione, ossia della conoscenza di come avvengono le cose: è una forma utile e funzionale di conoscenza, che permette di capire come un fenomeno avviene o un dato elemento funziona, così che lo si possa ripetere o utilizzare al momento opportuno. Nel secondo caso si parla di comprensione, che è una sorta di presa dall’interno della realtà, conoscerla non solo per come si comporta e si svolge, ma per quel che è e per il senso che ha, non fermandosi alla misurazione esteriore, ma entrando, per così dire, dentro la cosa, secondo il metodo dell’esperienza, spesso ricordato negli incontri dell’Associazione “Il rischio educativo”.

In entrambi i casi, ma soprattutto nel secondo, la ricerca del senso delle cose mette insieme, quali compagni di una medesima opera, giovani e adulti, entrambi impegnati a conoscere la realtà, e quindi ad affinare i mezzi per poterlo fare, e a comprenderla nella sua ampiezza e varietà, senza ridurla o censurarla. Allora l’ansia dei risultati e delle performances, cui anche le scuole si sono sottomesse, può lasciare il posto alla dinamica autentica dell’azione educativa, che è ricerca pacata e paziente, capace di dedizione e di ascolto – come i momenti di “silenzio” di questi mesi dovrebbero avere insegnato –, e anche di costruzione, di invenzione, fino alla creazione culturale.

Ricerca del senso, ascolto, costruzione comune, creazione di una cultura sono nomi diversi della stessa azione e vita che fanno di una scuola quello che deve essere. Alla domanda che cos’è una scuola possiamo con molta umiltà e discrezione dare una risposta sulla base di quelle cose che abbiamo vissuto, che abbiamo imparato e qualificare quindi anche una scuola paritaria, non solo per il miglior servizio che essa offre, ma per l’idea educativa e formativa che la sorregge.

(1 – continua)