Vale la pena di perdere tempo a commentare un articolo di giornale affisso nella bacheca di una scuola (la mia), riguardante, tanto per cambiare, l’ambiente e i danni dell’inquinamento?
Probabilmente no, se non fosse per il bombardamento asfissiante cui vedo sottoposti quotidianamente i miei studenti e anche i miei figli, che frequentano in questi anni dall’asilo alle scuole medie. Ho dunque la possibilità di assistere ad un vero stillicidio, martellante, che bersaglia da ogni dove le menti dei nostri bambini e giovani, come se non ci fosse un domani (ed è proprio questo il messaggio: non ci sarà un domani, se non fermeremo immediatamente l’uomo nella sua azione devastatrice).
“L’urlo estremo di speranza dell’ultima foresta europea”, questo il titolo del suddetto articolo (che non riporta la testata giornalistica, né la data), che campeggia nella bacheca del Comitato Scolastico per l’Ambiente nell’istituto superiore in cui insegno a Firenze (comitato che è diventato funzione strumentale dell’Istituto proprio all’inizio di quest’anno).
Mi fermo per ora solo al titolo. Proviamo a immedesimarci nella testa di un ragazzino di quattordici anni, che entrando a scuola legge, appeso nel corridoio di fronte alla sua classe, questo titolo, al centro della bacheca. Cosa penserà? Prendiamo in analisi il titolo: “L’urlo estremo”. La prima educazione (e qui siamo in una scuola che dovrebbe educare, istruendo) passa dal rispetto delle parole. L’urlo è prerogativa indiscussa dell’essere umano. Urla un bambino, una donna, un vecchio, un ragazzo. Urla un uomo di dolore, di terrore, di paura, di rabbia, di gioia, per trionfare o per inveire. Un animale non urla: un animale guaisce, ulula, ringhia, abbaia, bramisce, ruggisce eccetera. Un animale non urla. Figuriamoci se può urlare una foresta! Ma il messaggio è esattamente questo: la foresta urla, come e più di un essere umano. “Estremo”, non c’è più niente da fare, siamo alla disperazione, alla fine dei giochi! Cosa ci può essere di più tragico?
Poi c’è una inversione ossimorica: dopo l’“urlo estremo”, c’è la “speranza”. Altra parola irricevibile, se usata in questo contesto. Nessuno nel mondo spera, tranne l’uomo. Spera un ragazzo, di non essere interrogato proprio quella mattina in latino; spera una ragazza che quel ragazzo si giri, la guardi e corrisponda in qualche modo al suo batticuore; spera una madre che suo figlio cresca nel bene e non si abbandoni al male; spera un padre che il figlio trovi lavoro; spera ciascuno di essere un po’ più felice, quando si alza la mattina dal letto; spera il malato l’attimo prima di ricevere l’anestesia per una operazione a cuore aperto (questa sì una speranza estrema). Non spera un animale. Un animale ha istinti, bisogni fisiologici, non speranze. La speranza è dell’uomo e solo dell’uomo (dico uomo, rivendicando orgogliosamente il significato esteso di questo termine a comprendere tutti gli esseri umani sia maschi che femmine!).
“Dell’ultima foresta europea”: e qui il colpo di grazia! Oddio! È rimasta una sola foresta in tutta Europa?! Non ne sapevo niente, ma cosa aspettavo a svegliarmi (woke)? Poi vai a leggere l’articolo e incredibilmente viene fuori che si parla dell’ultima (?) foresta primaria d’Europa, dove per primaria si intende intatta e non “contaminata” da alcuna presenza umana. Qualcosa di simile alla giungla delle zone ancora inesplorate del nostro pianeta. In cosa consisterebbe, allora, la speranza contenuta nel grido di questa ultima foresta? Che l’uomo non la visiti mai. Ed ecco che si chiude il cerchio. L’uomo è il crudele aguzzino che fa urlare estremamente il pianeta.
L’articolo contiene poi frasi di questo tenore: “Finora [noi uomini] abbiamo pensato di essere speciali, ma non lo siamo più di un picchio, che sfrutta l’energia del sole per seccare le pigne che mangerà; non siamo la specie più efficiente, le formiche e le api sono in numero maggiore; non siamo la specie più grande, forse siamo i più popolari, il nostro problema è che finora non abbiamo “visto” la Natura [rigorosamente con la maiuscola], l’abbiamo solo usata, depredata, rubata”. L’uomo è l’orco delle fiabe, mentre, se ci fate caso, il lupo non è più il cattivo, ma solo l’incompreso (vedi recentissimi e tristissimi fatti di cronaca).
È questo il messaggio che diamo ai nostri studenti? Ma cosa ce ne facciamo allora della cultura? Se l’uomo è uguale a un picchio (ma sicuramente inferiore, perché il picchio non inquina), quale sarà mai il valore dello studio, della civiltà, della cultura, dell’istruzione? Della poesia, dell’arte, della filosofia, della scienza? Ma allora che senso ha la scuola? L’impegno, la responsabilità che chiediamo ai nostri studenti? Non contano nulla, anzi sono forse deleteri, armi pericolose in mano ad un pazzo. L’uomo è un errore di natura, uno sbaglio che dobbiamo eliminare il prima possibile, per salvare il pianeta. Esagero?
Ho letto questo articolo nel cambio dell’ora, aspettando di entrare in classe, una prima del liceo linguistico. Una volta dentro, dimentico l’articolo e, spiegando latino, mi viene da usare questa espressione: “L’uomo è un essere meraviglioso!”. La reazione immediata e comune di tutta la classe è di silenzio imbarazzato e sulle facce di molti si dipinge un’espressione di disgusto. Allarmato, faccio un rapido esame di coscienza a nome di tutta l’umanità ed, effettivamente, mi vengono in mente le ingiustizie sociali, le guerre, i popoli affamati dallo sfruttamento di altri popoli, l’ultimo articolo letto su una madre afghana costretta a vendere la propria figlia per 500 euro con cui sfamare per il mese successivo il resto della famiglia; la nuova tratta degli schiavi e tutte le brutture che gli uomini rovesciano gli uni sugli altri ogni giorno. Allora, un po’ inibito, chiedo ad una studentessa che mi pareva particolarmente contrariata dalla mia entusiastica affermazione: “Non pensi che l’uomo sia un essere meraviglioso?”. E lei risponde duramente: “L’uomo fa schifo!”. Ferito da tanta spietata crudezza, chiedo perché. E lei risponde: “Perché l’uomo inquina e uccide gli animali”. Ok, non esageravo!
Stiamo crescendo una generazione di esseri umani che pensa che l’essere umano faccia schifo (senza distinzioni, né pietà) e fa schifo perché inquina. Sono cresciuto con i miei insegnanti che mi trasmettevano, chi più chi meno, questo messaggio: il mondo sta aspettando voi per eliminare le piaghe della società, cioè la fame nel mondo, le ingiustizie sociali, la disoccupazione, le guerre (ci ricordiamo la serie di miss Italia che dicevano sempre di desiderare la pace nel mondo? Bei tempi!) eccetera.
Di colpo tutto questo non esiste più. Non solo, per i giovani di oggi non esistono alcune persone malvagie che fanno il male, ma a loro sarà chiesto di combattere contro tutto questo. No, per i nostri giovani non esistono buoni e cattivi: fanno tutti schifo, perché fanno del male, semplicemente esistendo, al pianeta. Che così perde (Lui, il pianeta!) la speranza. Altro che peccato originale, questo è peccato ontologico! E la cosa veramente inquietante è che questo messaggio pestifero passa innanzitutto dalla scuola, che fin dall’asilo sottopone le menti dei nostri figli a questo plagio indefesso. Perché, forse, ancora all’asilo l’ideologia gender non la veicoliamo, ma la crociata sull’ambiente se la beccano tutta e per benino.
Di fronte ai volti chiusi e decisi dei miei studenti era evidente che non sarebbe servito a nulla opporre delle affermazioni, per quanto ragionevoli e fattuali. In un illuminante momento di ispirazione ho capito cosa dovevo fare. Dovevo porre delle domande. Ne ho fatte tante, ne riporto qui solo tre.
1) Rispetto a trent’anni fa, secondo voi, le foreste in Europa sono aumentate o diminuite? Uno studente, come risvegliandosi d’improvviso, ha detto che si ricordava vagamente di aver letto una volta un articolo in cui si diceva che le foreste, contrariamente a quanto si ritiene, fossero aumentate (in Italia negli ultimi 10 anni sono aumentate di 587mila ettari). Di qui una serie di esclamazioni di incredulità e di sorpresa. Io ho solo detto di andare a verificare su internet.
2) Avete mai visto una foca o un panda che si prendono cura dell’estinzione delle foche e dei panda? Che fanno Friday for future contro la CO2? Che attaccano le navi giapponesi per impedire la caccia alle balene? Questa domanda li ha impegnati in un grosso dibattito, al termine del quale hanno concluso che, sì, solo l’uomo si prende cura dell’ambiente. Lo può distruggere, a volte, ma sicuramente è l’unico che lo può salvare e curare. E che se ne può preoccupare.
3) Tu inquini e uccidi gli animali? Qualcuno di voi inquina e/o uccide gli animali? Quante persone conoscete che inquinano e uccidono gli animali? A questa domanda è seguito un silenzio profondo. Vuoi vedere che quando diciamo che l’uomo fa schifo, stiamo usando una categoria astratta? Vuoi vedere che stiamo facendo fuori noi stessi e l’esperienza che quotidianamente abbiamo di noi stessi e degli esseri umani reali che ci circondano? Allora a poco a poco è venuto fuori che certamente esistono persone che inquinano e uccidono gli animali, che anche noi a volte possiamo aver inquinato, anche volutamente, ma che tante persone (forse la maggior parte?) non lo fanno o cercano di non farlo e che noi di solito non lo facciamo o cerchiamo di non farlo.
Poi è suonata la campanella e la lezione è finita, ma i ragazzi erano entusiasti, le loro facce erano radiose, come liberate (non uso a caso questo termine) da una cappa di ottusità. Avevano improvvisamente avuto la possibilità di ragionare, di provare a rispondere a domande, di confrontarsi fra possibilità diverse di risposta, di sostenere le proprie opinioni, dovendo superare delle obiezioni. Non dovevano assentire supinamente al Verbo proclamato, che da sempre li raggiunge in ogni loro luogo di aggregazione. Chesterton diceva che lo stupido non è colui che non ha un pensiero, ma colui che non ha un secondo pensiero da opporre al primo. Non è questo che dovrebbe fare una scuola?
Quando sono entrato alla lezione successiva, una di loro (proprio quella che aveva detto che l’uomo fa schifo) ha alzato la mano e mi ha chiesto: “Prof, possiamo farle due domande?”, “Certo”, “Cos’è la libertà? Cos’è l’amore?”. “Perché mi fate queste domande?”, “Perché con lei si può discutere di cose importanti”.
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